Un nuovo ascensore di cristallo per salire sul tetto del Duomo fino ai
piedi della Madonnina! Un'idea più sballata non c`è. Per fortuna adesso
pare definitivamente bocciata. Già è di troppo quello che c'è, perché in
verità uno c'è da cent'anni. Così la pensava anche il grande poeta
milanese Delio Tessa in una delle sue deliziose «prose ambrosiane»
(questa che segue è del 1937) ripubblicate nell'encomiabile volume «La
bella Milano» a cura di Paolo Mauri (Quodlibet).
Ecco cosa scriveva: «Ma sul Duomo bisognerebbe andarci a piedi non in
ascensore come oggidì: ... e su e gira/ e gira e su/ e su e gira... e a
ogni giravolta, da una feritoia, un taglio di luce viva nel camino della
scaletta... proprio come vent'anni addietro per raggiungere il vecchio
loggione della Scala. Quanti gradini? Mah! Il loro numero era
leggendario. Così, se discorrendo qualcuno accennava all'età sua e
veniva fuori a dirvi "io ne ho trentacinque" e si vedeva che ne aveva
molti, ma molti di più, che cosa si diceva allora, ma piano, che non
sentisse: ... "e i basej del Domm...". I gradini, quand'erano finiti si
sbucava come spazzacamini sui lastroni del tetto. Le brigatelle si
disponevano a far colazione secondo la nota strofetta cantata sull'aria
della Traviata: De Provenza i per e i pomm/I castegn de Vengon / Che se
poeu gh'avessom famm / Andarem tutti sul Domm /A mangià pan e salamm».
Ogni tanto ci sta bene un briciolo di sorridente saggezza, almeno per riportarci a una amabile realtà.