Recensioni / Tra digiuni, lavacri e abluzioni

Prendete un filologo classico esperto e raffinato, che sia anche uno scrittore sobrio ed elegante. Mandatelo in Grecia per una vacanza non balneare, magari un po' fuori stagione, dandogli carta bianca sulla scelta dell'itinerario. Affiancategli una fotografa fuori dagli schemi, dotata del giusto grado di distacco dal fascino delle rovine e sufficientemente impermeabile alla seduzione dei paesaggi più carichi di storia al mondo. E metteteli nelle mani di uno degli editori più colti e innovativi che sia dato di trovare oggi in Italia. Avrete buone probabilità di ottenere da questi ingredienti uno dei libri più anticonvenzionali e rivelatori, erudito ma insieme piacevolmente leggibile per la notevolissima qualità della sua scrittura, che siano stati dedicati negli ultimi tempi alla Grecia antica.
Il libro in questione è Oracoli, santuari e altri prodigi. Sopralluoghi in Grecia, e i personaggi che hanno contribuito, ciascuno per le proprie competenze, alla sua nascita sono Dino Baldi, filologo classico e scrittore (tra l'altro ha tradotto l'Anabasi di Senofonte e pubblicato Morti favolose degli antichi sempre per Quodlibet) e Marina Ballo Charmet, artista di ricca e variegata esperienza che si occupa di fotografia e video, nonché psicoterapeuta.
Le 152 pagine che costituiscono il corpo principale dell'opera sono integrate da un Dossier Grecia che comprende un saggio di Marco Rinaldi dedicato a Il viaggio in Grecia di Gastone Novelli e uno di Maria Giovanna Cicciari su Hyperion. Appunti per un film sulla Grecia. Completa il volume la sezione Appunti locali, dove Alberto Saibene propone un'introduzione semiseria alla cucina greca seguita da alcune informazioni pratiche su come raggiungere i siti e che cosa ci si può aspettare (o non ci si deve aspettare) di trovarvi.
La scelta di ripercorrere il suolo greco seguendo il fil rouge dei santuari oracolari è un esplicito rifiuto della Grecia da cartolina, del candore abbacinante delle colonne di marmo, delle nudità alabastrine delle sculture esposte nei musei, del mare di cristallo delle isole degli dei, della collina gravida di storia del Partenone (Atene, tanto per dire, non c`è; se ne parla solo per precisare che da questo itinerario resta fuori, spiegandone le ragioni). Quella di cui l'autore-viaggiatore va qui alla ricerca, novello Pausania del XXI secolo, è un'altra Grecia,
quella nascosta e segreta, dove gli dei palesavano non il loro volto luminoso, bensì quello inquietante, rivelando agli uomini che si affannavano a interrogarli i disegni oscuri del fato. E la Grecia di quell'irrazionalità che per tanto tempo i classicisti si sono affannati a negare, innamorati dell'idea che della Grecia si erano fatti guardandone un aspetto soltanto, quello limpido e razionale che, da solo, non è probabilmente mai esistito.
La Grecia della quale Baldi va alla ricerca, pur se riemergente da un passato remoto, è in meravigliosa sintonia con la Grecia di oggi (si leggano per esempio le pagine dedicate a Dion, o quelle su Licosura). E non sarà un caso se con ostinata insistenza l'autore ci dice che arriva nei siti archeologici, quasi sempre, dopo l'ora di chiusura, o si spinge in luoghi recintati e apparentemente non aperti al pubblico, ai quali riesce ad accedere solo scavalcando fortunosamente steccati e recinzioni: come se solo da abusivo il visitatore del XXI secolo potesse avvicinarsi all'indole vera di quei luoghi dimenticati, alla natura profonda di una civiltà della quale tutto è stato detto ("Sulla Grecia è difficile dire qualcosa di nuovo, e le sciocchezze, in particolare, sono già state dette tutte"). Tutto è stato detto, fuorché probabilmente ciò che davvero essa è stata.
Non è consono a una visione solare, razionalizzante, di tipo tradizionale, per esempio, il racconto di Anfiarao che si legge nelle pagine dedicate a Oropo: di quell'Anfiarao indovino che regnava su Argo, che partecipò alla guerra dei Sette contro Tebe e che, sconfitto, "fuggiva sul suo carro lungo le rive del fiume Ismene inseguito dal tebano Periclimeno", quando, "proprio nel momento in cui stava per essere colpito alle spalle da una freccia, Zeus pietoso aprì con il suo fulmine una voragine davanti a lui, e Anfiarao ruzzolò dritto davanti a Minosse con tutto il carro, la corazza e l'auriga Batone al fianco", vivendo da quel momento come dio degli inferi. E ci schiude orizzonti di abissale oscurità la storia di Trofonio e del suo oracolo a Lebadea, dove gli interroganti si sottoponevano a un complesso rituale che costituiva "un percorso di conoscenza specularmente inverso a quello della nascita", tra digiuni, lavacri e abluzioni, sprofondamento nelle viscere della terra e soggiorno nelle tenebre di un oscuro antro sotterraneo per un tempo imprecisato, fino all'ottenimento, dopo un'esperienza sconvolgente, della risposta del dio.
Anche dei luoghi più noti, come Delfi o Olimpia, Baldi mette in risalto i risvolti meno conosciuti, più oscuri, che contribuiscono a rivelare sfaccettature segrete e oblique dello spirito greco; trovando in questo atteggiamento una perfetta corrispondenza nelle fotografie di Marina Ballo Charmet che, nei luoghi consacrati da secoli di incondizionata ammirazione degli occidentali, indugia con l'obiettivo non solo sui paesaggi e le rovine resi celebri dalla tradizione, ma soprattutto, con meticolosa precisione e sublime indifferenza verso il dato monumentale, su ciuffi d'erba secca che spuntano nella terra arida, su pietre dimenticate (forse neppure scolpite), su scenari naturali che potrebbero essere ovunque e in nessun luogo. Quasi a suggerire una forma impensata di universalità della Grecia, paese unico al mondo eppure uguale a qualsiasi altrove; e a ribadire anche con le immagini, e non solo attraverso le parole del testo, la volontà di scoprire l'altra Grecia. Quella vera.
Zygmunt Bauman ha suggerito che alla metafora delle radici andrebbe contrapposta quella dell'àncora: perché le radici, se pur forniscono linfa vitale, suggeriscono l'idea dell'impossibilità di ogni allontanamento, una sorta d'ineluttabilità che impedisce la scelta; mentre l'àncora uno la getta dove vuole fermarsi, legandosi così (e in modo che può essere solo provvisorio) a un punto scelto con consapevolezza, dal quale potrà comunque sempre ripartire. Il viaggio di Baldi è un gettare l'àncora: un tornare a porti conosciuti e cercarne aspetti nuovi e segreti. Non perché lì affondano le radici, ma perché (nel bene e nel male, tra le meraviglie dell'arte e la decadenza di pietre e paesaggi abbandonati) lì è bello fermarsi. E guardarsi intorno senza lasciarsi condizionare da ciò che si crede, in quei porti, di dover trovare.