Del giovane Matteo Marchesini, oggi trentaquattrenne, ma da tempo e
molto precocemente in attività, alcuni si erano già accorti: per la sua
cultura, versatilità, maturità, acume polemico nonché per il fatto di
non decidersi fra critica letteraria, poesia, narrativa, filosofia,
giornalismo di costume.
Tutto questo ha forse provocato più irritazione e sospetto che ammirazione. Ma ora con il suo vero esordio, Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia
(Quodlibet), più di cinquecento pagine nelle quali il critico si muove
in lungo e in largo e in tutte le zone del Novecento italiano, sarà
impossibile non accorgersi di lui. Anche chi preferirebbe non avere a che fare con un'intelligenza così libera, dovrà rassegnarsi.
Bisogna notare anzitutto che questo libro rivela qualcosa di
assolutamente nuovo che finora nessuno si aspettava: una critica
letteraria non propriamente, riduttivamente giornalistica, ma neppure
universitaria, nata non si sa come e chissà dove; formatasi nella mente
di un giovane subito, tuttora e forse per sempre a disagio nella cultura
in cui si è trovato a vivere. Questo libro sarà utile a tutti: ai molto
numerosi narratori e poeti che hanno dai trenta ai cinquant'anni e
forse soprattutto agli storici della letteratura novecentesca, che anche
se hanno studiato, continuano però a lavorare spesso concedendo a
luoghi comuni che basterebbe un po' di vera curiosità e passione per
mettere definitivamente da parte.
Su quasi tutti gli autori di cui parla, Marchesini sembra sapere e
capire perfino più cose di chi se ne è occupato "da studioso", per il
semplice fatto che non ha letto e capito solo ognuno di loro, ma anche
innumerevoli altri e di ogni specie.
Molte le cose che si trovano in questo libro e che ormai non si trovano
in nessun altro: discorsi sulla satira e la parodia, su perché Saba non
è popolare in Italia, su Cassola, sulla nuova poesia, e in particolare
sui più diversi saggisti: decine di pagine dedicate a Savinio e Noventa,
Cajumi e Chiaromonte, Fortini, Garboli, Bellocchio. Non solo
Marchesini, a spese proprie, senza fondi di ricerca, ha letto e studiato
molto. Il bello è che si capisce sempre perché ha studiato.