Recensioni / Festival e baccelloni

Il modello occulto della società letteraria italiana è L’invasione degli ultracorpi. Non so chi abbia depositato nottetempo i baccelloni, ma di tutta evidenza è Roma l’epicentro del fenomeno e non escludo che i nuovi marziani abbiano scelto, per abitudine, il galoppatoio di Villa Borghese. Tutto si svolge nel segno della parodia. Ogni personaggio, stile, maniera o istituzione letteraria a cui un tempo si poteva riconoscere un prestigio, una dignità, una ragion d’essere storica, è stato sostituito proditoriamente da un replicante più o meno ben congegnato. Chiunque abbia occhi per vedere (e tempo per prestarli alle cronache) lo constata facilmente, e pazienza se, come il protagonista del film di Don Siegel, il suo destino sarà di non essere creduto.
Parodie di scrittori che ronzano intorno a parodie di premi letterari o si accalorano senz’ombra di ironia per parodie di polemiche (cos’altro era, l’affaire Cordelli?). Riviste che sono fin dal nome replicanti di riviste estinte (l’operazione marziana sarà compiuta quando nasceranno anche Lacerba 2, La Ronda 2 e Il Politecnico 2). Critici-baccelloni che compilano serissime parodie di canoni. Poeti neoavanguardisti che non passerebbero il test di Turing. Parodie di scrittori maledetti e parodie di narratori popolari, parodie di engagés e parodie di dégagés, parodie di neoterici e parodie di dialettali. Scampati ai marziani, ai trifidi e ai diafanoidi ci troviamo a lottare contro nuove creature aliene, i pasolinidi e i balestrinidi e i nanobianciardi e i gaddamutanti e gli ultrafofi. Mentre scrivo, un manipolo di replicanti sta per radunarsi al mare per un festival parodistico fin dall’annuncio (“Scrittrici e scrittori confinati per sei giorni sull’isola di Ventotene, a scontare il loro privilegio: essere scrittrici, essere scrittori. Condannati a esercitare il dono supremo dello sguardo”). Il vecchio mondo delle lettere è svanito per consunzione, ma svanendo ha lasciato nell’aria, fluttuanti, delle sagome vuote, delle pose cristallizzate, dei calchi entro cui sono potuti crescere i baccelloni spaziali.
L’invasione avanza, e chi ha ancora speranza di salvare il mondo farà bene a coltivare la scienza della parodia. L’essenziale lo troverà in un libro di Matteo Marchesini, Da Pascoli a Busi (Quodlibet). Il titolo e la mole potrebbero far pensare a uno studio accademico per italianisti, ma è anzitutto un libro di battaglia. Marchesini ha praticato l’arte della parodia (stanco di recensire poeti mediocri si dedicò alla scrittura di “antologie apocrife, che tramite un’imitazione appena ironica evidenziassero la riproducibilità seriale dei loro versi”) e qui ne fa un po’ di storia e di teoria, con la premessa che all’epoca dei media “la parodia è diventata anche il perverso principio evolutivo di molte biografie artistiche” e che molte carriere “nascono già come parodie di modelli assenti”. L’unica via per distinguere gli scrittori dai baccelloni è calarsi nei loro panni, mossi da “un demone critico e vampiresco da traduttore-interprete”. Il saggio sulla parodia occupa meno di dieci pagine, ma nelle restanti cinquecento Marchesini compie con tutti i suoi autori lo stesso gesto da cacciatore di replicanti: s’immerge fino in fondo a uno stile, a una postura letteraria ed esistenziale, per verificare dal di dentro ciò che è vivo e ciò che è morto. Il lettore avrà un brivido quando avvertirà qualche traccia di automa anche sotto le pirotecnie verbali di Gadda o nel Montale epigrammatico.
Ma è di questo libro che dobbiamo armarci per scacciare i baccelloni, e oltretutto il suo formato ne fa un ottimo corpo contundente.