È in libreria l'antologia di testi teorico-critici di Eisenman pubblicati nel corso di venticinque anni decisivi per l'autore e per il postmodernismo. Il testo originale è della Yale University (2004), la traduzione è di Maria Balocchi e Anna Tagliavini, con l'aggiunta di un saggio postfativo di Roberto Damiani. Esce per i tipi della casa editrice, che dello stesso autore ha già pubblicato la monografia "Giuseppe Terragni: trasformazioni, scomposizioni, critiche" (2004).
Il senso di questa operazione è di offrirci un documento tra i più significativi della cultura architettonica di un tempo e, insieme, di marcare la suggestiva attualità di quel discorso. Dove, come work in progress aperto sui lievitanti anni Sessanta, si illuminano nuove frontiere di audaci e nette interpretazioni delle cifre costitutive delle forme dell'architettura. Ovvero, dell'architettura come testo e, insieme, come processo che si fa spazio tra il soggetto e l'oggetto: tra l'architetto e il luogo. Un'avventura tutta da sperimentare, in quanto open-ended, come suggerisce Eisenman stesso, per assicurare affidabilità all'idea. Così, sul piano teorico-critico, si rivisita il classico (a partire dal suo naufragio nel tempo presente), per estrarne ciò che di vivo e di non coattivo sa dirci, si procede a una programmatica destrutturazione del moderno (che è stato poco moderno), si lavora a liberare l'architettura lungo il filo di una razionalità in grado di incarnare, come un oggetto contestuale, il suo stesso vuoto. Come una prospettiva più complessa, che apre e destabilizza, senza fine.