Recensioni / Koolhaas l'antistar

Questo Rem Koolhaas non piace troppo, dunque è perfetto. Non piace perché è forse l'unico architetto orbo di battesimo al fonte dell'ideologicamente corretto. Ha perfino flirtato con gli emiri di Dubai. E con gli oligarchi russi. Ha realizzato la sede della televisione cinese CCTV a Pechino, in terra di comunismo, ma ciò non fa curriculum perché una cosa è essere ortodossi e fedeli al Timoniere, un'altra essere di sinistra. Rem non piace a molti architetti per via del piglio antiarchitetto. Alla Biennale di Venezia ha messo in mostra scale, balconi, soffitti, finanche gabinetti (e cioè elementi di architettura da muratura) anzìché favela da piagnisteo culturale o periferie da rammendare (giammai da rammentare). Rem non piace ai cronisti acculturati perché
non rilascia interviste (neppure in tivù) e pur essendo stato giornalista da giovane, a Haagse Post, un giornale olandese d'ispirazione moderata non lascia spazio alla mondanità sciuè sciuè (e, infatti, questa Biennale non piace, dunque è perfetta). La sgarbo più grande che Rem poteva fare lo ha riservato agli italiani. Ha dato troppa importanza al Belpaese dedicandogli metà della Biennale: «Monditalia». Una vetrina alle Corderie dell'Arsenale dove, nonostante tutti i suoi guai, con l'argomento che l'Italia è ancora rappresentativa per l'architettura, Rem la racconta come neppure il più fiero dei patrioti saprebbe fare. Singapore songlines, il suo ultimo libro edito da Quodlibet, descrive la Disneyland piena di divieti. Eccoli: non si può fumare, non si può bere, non si può fare l'amore. Rem racconta in queste pagine ciò che ogni città anche Catanzaro diventerà nel compimento dell'ideologicamente corretto. Una Disneyland con la pena di morte. In forza di una pena più che perfetta.