Recensioni / La guida geoletteraria di Francesca Borrelli, l'intervista come genere

Questo imponente volume di interviste a più di quaranta scrittori realizzate da Francesca Borrelli ("Maestri di finzione", Quodlibet, 610 pp., 28 euro) può essere letto come una grande inchiesta sulla letteratura contemporanea: autori, libri, idee di vario e sempre notevole interesse. Anche se sono assenti gli scrittori italiani (per ragioni forse intuibili), con la sola eccezione di Anna Maria Ortese, queste interviste valgono sia come galleria di ritratti che come discussioni teoriche sulla narrativa internazionale, oggi che le teorie languono e se vengono proposte risultano quasi sempre precocemente invecchiate o inadeguate o pretestuose.
E' molto raro che gli scrittori si appassionino alle etichette che critici e accademici producono per spiegare e catalogare le loro invenzioni letterarie. L'idea di postmoderno è usurata da tempo; il concetto di realismo è una bandiera lacera che non accende gli animi né di sostenitori né di oppositori; che cosa sia l'ipermoderno non è per niente chiaro (a meno che non attiri perché consuona con ipermercato, come la biopolitica consuona con la biogastronomia): infine la faccenda dell'autofiction mi sembra un'invenzione dell'ombrello, perché di autonarrazioni molto o poco inventate è piena la storia della letteratura, da sant'Agostino a Dante, a Rousseau fino a Dostoevskij, Svevo, Céline, Henry Miller, Beckett (ma divertitevi voi a completare l'elenco).
Per capire che cos'è il romanzo, salvo il caso raro di teorizzazioni geniali (Lukàcs, Sklovskij, Bachtin, Girard...) meglio sentire il parere competente dell'artigiano narratore. Dopo gli anni Venti del secolo scorso, il romanzo e il racconto sono rimasti orfani di teoria: nessuno ha teorizzato in modo che fossero spiegati nello stesso tempo Hemingway e Borges, Faulkner e Nabokov, Gadda e Moravia, Morante e Calvino, Fenoglio e Volponi, La Capria e Parise... C`era bisogno di teorizzarli? No. Bastava capirli.
Aggiungo che Francesca Borrelli pratica l'intervista come un vero e proprio genere letterario, fra la recensione, il ritratto critico, il reportage. Contrariamente a quello che fanno molti intervistatori, che non leggono niente o quasi degli autori da intervistare, la Borrelli, oltre che leggerli, li studia.
L'intervista alla Ortese, la sola a rappresentare l'Italia, è una delle migliori, se non la migliore. Mi sembra soprattutto la più emozionante. Questa singolarissima donna, vissuta nascosta, sembra essere stata sempre in comunicazione con esseri così "fuori dalla realtà" da far sembrare irreale la realtà stessa. Frasi come questa non si dimenticano facilmente: "Sono schierata dalla parte di questi esseri perché non si potranno mai veramente salvare: la mia simpatia e il mio amore vanno a loro, che sono persi in partenza".
Leggo che José Saramago ha detto: "Ho l'impressione che la chiesa si occupi di amministrare i corpi molto più di quanto si dedichi alle anime". Fosse vero! Non sa Saramago che i corpi sono anime, prima che morte li separi?
Kurt Vonnegut dice: "Ho visitato molti angoli del mondo. Tuttavia, quando racconto delle storie sono provinciale".
Alvaro Mutis spiega la sua amicizia con Gabriel García Màrquez: "I giornalisti si domandano sempre come un reazionario e monarchico come me possa essere così legato a un uomo della sinistra, amico di Fidel Castro. Mi sono convinto che nessuno mi crede quando dico che mai e poi mai Gabriel e io abbiamo discusso di questo argomento: c'è la vita di cui parlare, le nostre famiglie, i figli, i nipoti. E i libri che leggiamo".
Ma ecco Giinter Grass che parla di Heidegger: "Osservo con meraviglia come da questo filosofo si sprigioni un immenso potere di fascinazione, non tanto in Germania quanto in Francia e in Italia. La filosofia di Heidegger è una moda e questo sembra, a me che sono tedesco, per certi versi comico".
Il caraibico Derek Walcott ci ricorda questo: "Se ti svegli al suono del mare, realizzi che non si cura di te, né di quello che rappresenti: il mare se ne frega del genere umano. La terra invece è dominata da ciò che noi facciamo di lei".
Lo scorbutico V. S. Naipaul, che la critica ha insistito a definire conradiano, si esprime così: "Scrivendo 'Alla curva del fiume' (romanzo ambientato in Congo) non ho pensato a Conrad un solo istante. Devo dire, del resto, che non amo affatto 'Cuore di tenebra'".
Da Susan Sontag, che negli anni Cinquanta ospitò a casa sua Herbert Marcuse non ancora famoso, apprendiamo quanto segue: "Una volta Marcuse mi chiese di chiamare Francoforte: allora fare una telefonata a così grande distanza era tutt'altro che comune. Ma il fatto è - mi disse - che oggi è il compleanno di Teddy. Parlava di Adorno. Finalmente gli telefonò, fu una scena curiosissima, mi stupii di vedere quanto fosse nervoso. Stava lì irrigidito come davanti a un maestro e con quanta deferenza si rivolgeva ad Adorno. Teneva il telefono con una mano e con la testa annuiva, annuiva, annuiva...".
Siamo ai limiti del pettegolezzo. Va ricordato che fra i due famosi rappresentanti della Scuola di Francoforte c'erano cinque anni di differenza e il più anziano era proprio Marcuse. Di lì a poco, nel decennio Sessanta, Marcuse diventò una inarrivabile star filosofico-rivoluzionaria internazionale, mentre Adorno fu respinto nell'ombra come un conservatore borghese affetto da fobia per la prassi...
Il libro della Borrelli supera le seicento pagine. Sono circa a metà strada. Intanto lo segnalo ai lettori. Come guida geoletteraria al presente non è certo un testo effimero.