Recensioni / La seduzione populista

L’originalità di questo studio sta nell’attenzione sull’uso politico dell’architettura e dell’urbanistica, nella prospettiva del «populismo sub specie urbanistica». Ferrari offre nuovi spunti di riflessione sugli usi e abusi politici della città contemporanea. La scelta metodologica di mettere in relazione il discorso politico e le forme urbane, ossia di analizzare le retoriche e i linguaggi delle élites di governo alla ricerca del consenso dell’elettorato tramite la realizzazione di nuove parti di città, è certamente ambiziosa e corre il rischio di trarre conclusioni scontate. Facendo riferimento a studiosi quali Habermas, Taguieff e Laclau, l’a. riesce, invece, a cogliere un nodo interpretativo convincente, il «populismo urbano». Quest’ultimo nasce come reazione alla cosiddetta città riformista, sviluppatasi nella seconda metà dell’Ottocento ed entrata in crisi alla fine degli anni Sessanta, epoca in cui si forma un’idea di città più frammentata ed eterogenea, più individualista e soggettiva, da cui deriva l’illusione della democratizzazione del gusto e della libertà di scelta, non sottomessa alle regole del mercato. Per documentare il potere di seduzione che l’architettura esercita sugli individui, l’a. focalizza tre esempi stranieri: Bussy Saint-Georges in Francia, Poundbury in Inghilterra e Celebration negli Stati Uniti. Sono casi in cui populismo e forma urbana si intrecciano fortemente, che si sviluppano non a caso nella fase culminante del trionfo del neoliberismo negli anni Ottanta. L’urbanistica di Stato in Francia o il neotradizionalismo d’impronta monarchica inglese costituiscono forme ideologiche conservatrici in antitesi con l’idea di piano appartenente alla cultura progressista degli anni Sessanta, le cui icone sono il modernismo internazionale e l’edilizia sociale: le villes nouvelles, concepite dalla tecnocrazia statale francese mirano a creare uno spazio a misura d’uomo, utilizzando argomenti seduttivi quali la qualità della vita e la possibilità di coniugare funzionalità, arte e natura; il manifesto di Carlo I d’Inghilterra, Personal view of architecture, mira al recupero di una dimensione vernacolare dell’abitare («un’architettura umana») nell’intento illusorio di far prevalere le esigenze degli abitanti contro le logiche del mercato. Si tratta di due modelli di intervento urbano gestiti direttamente dall’alto, che puntano a ridurre la conflittualità sociale, con il risultato di appiattire e di omologare gli strati sociali medio-bassi della società. Anche nel contesto italiano non mancano gli esempi. Nella suddetta prospettiva si può collocare il progetto «Milano 2», non oggetto di trattazione nel volume, ideato da Silvio Berlusconi a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento e presentato come alternativa abitativa alla confusione dei centri urbani. Gli effetti di tali politiche urbane neoconservatrici sono evidenti nell’attuale scenario della postdemocrazia: la progressiva limitazione dei diritti di cittadinanza, in una prospettiva volta a schiacciare o quanto meno ridurre qualunque tipo di partecipazione e istanza proveniente dal basso.