Nel panorama dell’architettura contemporanea, i progetti dello studio
Lazzarini Pickering si distinguono per la loro elaborata semplicità,
dietro la quale si nasconde una complessa ricerca e uno straordinario
lavoro sugli spazi, volto a raggiungere un’idea di essenzialità ricca di
invenzioni e di intuizioni. Un’essenzialità che esalta il famoso motto
“Less is more” di Mies van der Rohe, che in questo caso potrebbe
diventare “Less is much more”, cioè “Il meno è molto di più”.
In ogni progetto di Lazzarini e Pickering infatti c’è un’idea forte che
diventa il punto di partenza per sviluppare uno spazio in maniera
avvincente, in modo che lo spazio stesso possa essere ricordato e
raccontato, rimanendo bene impresso nella memoria di chi lo vede e di
chi lo visita. A Claudio Lazzarini e a Carl Pickering, nati
rispettivamente a Roma e a Sydney, è dedicata la monografia “Lazzarini
Pickering Architects”, pubblicata recentemente da Quodlibet, curata da
Domitilla Dardi e Emilia Giorgi, con fotografie di Matteo Piazza.
Abbiamo chiesto a Claudio Lazzarini di definire i punti salienti della
filosofia dello studio Lazzarini Pickering.
Il vostro studio si occupa di progetti in vari ambiti, dalla nautica ai
giardini, dall’interior design all’aeronautica. Qual è il segno
distintivo che caratterizza ogni vostro progetto?
Siamo architetti e riteniamo che la cultura del progetto sia valida a
tutte le scale. Il nostro approccio è sempre legato allo spazio: anche
quando realizziamo un progetto di design, lo consideriamo parte dello
spazio, del progetto architettonico. Questo discorso vale in ognuno
degli ambiti in cui lavoriamo, per esempio nel mondo della nautica, dove
facciamo styling di interni e di esterni, e dove fin dall’inizio siamo
intervenuti sullo spazio.
Quanto peso ha la sperimentazione nei vostri progetti?
E’ fondamentale, è sempre il punto di partenza di un progetto. Anche in
un tema piccolo ci può essere una riflessione sul modo di progettare.
In cosa si traduce questo approccio?
Nel guardare al progetto da un punto di vista diverso dal consueto.
Significa guardare con un occhio nuovo a tutto ciò che la storia e la
tradizione hanno sedimentato, per fare evolvere la tradizione stessa.
Come definireste il vostro stile?
Più che di stile, parlerei di una linea di ricerca che lega i nostri
progetti. A volte poi ci hanno affibbiato delle etichette: siamo nati
come “minimalisti”, poi siamo stati definiti “minimalisti barocchi”, e
infine “minimalisti onnivori”.
Nei vostri progetti c’è sempre una grande attenzione per il contesto.
Qual è il rapporto tra il genius loci e la vostra personale cifra
stilistica?
E’ un altro elemento fondamentale. Ogni progetto deve essere
contestualizzato, usando materiali della tradizione locale e rispondendo
alle esigenze del committente, facendo emergere i suoi sogni.
Che cosa pensate del minimalismo?
Se per minimalismo si intende arrivare all’essenza di un progetto,
allora il minimalismo va benissimo. Non ci riconosciamo invece in un
atteggiamento pauperista e non funzionale. Per intenderci, il
minimalismo delle case dove in virtù di un’idea erronea di essenzialità,
si evita di mettere anche le prese di corrente.