Recensioni / Poveri averroisti

Gran intelligentoni, i filosofi, ma anime contemplative e sedentarie. Se la pensate così, prendete in mano L'averroismo in età moderna, e scoprirete che esiste anche una «Storia avventurosa della filosofia». A partire dal caposcuola, Averroè in persona, accusato d'empietà e scampato di misura al boia, e sino ai seguaci della prima età moderna, questa corrente di pensiero sembra fatta apposta per creare guai. L'universo? eterno. L'anima dell'uomo? mortale. Le pene dell'inferno? una fola. Anche a riassumerlo così, alla grossa, il verbo averroistico mostra il suo potenziale corrosivo. Ben si capisce come i teologi musulmani prima, quelli cristiani ed ebrei poi, considerassero idee siffatte peggio del fumo negli occhi.
Il libro allinea una serie di avanzi di galera. Nel senso che parecchi ci finirono davvero. È il caso di Uriel da Costa, nato in una famiglia ebraica costretta a convertirsi al cattolicesimo, poi tornato al giudaismo, e infine uscito o meglio scacciato dalla sinagoga per le sue polemiche antirabbiniche, che anticipano quelle al vetriolo di Baruch Spinoza.
Né andò meglio agli averroisti cristiani. Adriaan Koerbagh, pensatore del Seicento, per aver negato la creazione del mondo, finì in una amena prigione della civile Olanda, dove i condannati erano costretti a trasformare in polvere i tronchi di mogano provenienti dal Brasile. I riottosi erano immersi in una cisterna in cui veniva fatta affluire acqua: o pompavano senza posa o annegavano. Adriaan ne uscì cadavere, e sembra che una gallina nera rimanesse a lungo appollaiata sulla bara. Forse anche l'uccellaccio teneva per Averroè.