Con l'andamento e le movenze di un'irrequieta, interminata ricerca
esistenziale e intellettuale a un tempo, una vera e propria quéte,
dall'erranza al superamento di ostacoli, consuetudini, regole, leggi -,
si dispiega il racconto della vicenda della costruzione con le proprie
mani della sua «casa da giardiniere» da parte di Gilles Clément,
paesaggista, filosofo, teorico di un'ecologia del giardino e del
paesaggio che sceglie la natura come guida (Gilles Clément, Ho costruito
una casa da giardiniere, Quodlibet, pp. 156, euro 16,00). Storia
personale, innescata dallo sfratto da parte del padre dalla sua, fin lì,
casa di famiglia, la Grange; eppure corale, esito della condivisione e
del pensiero collettivo di un gruppo di suoi compagni,
giardinieri-muratori, eredi della rivoluzione del '68, presentati in
coda al volume ciascuno per il suo contributo, come
autori-compositori-interpreti comprimari de la Vallée. Perché, dopo due
anni di peregrinazioni nei dipartimenti della Francia meridionale, alla
ricerca di un nuovo luogo da abitare, Clément tornerà proprio nella
Creuse della sua giovinezza, non lontano dalla casa negata, a scegliere
di prender per dimora proprio quella Valle delle farfalle per
antonomasia la Vallée -, dove giovane esploratore delle meraviglie di
fogliami, insetti, fiori, aveva incontrato la propria passione di
naturalista solitario. Qui, o meglio «laggiù», come dicevano i locali,
in quella valle mai abitata, aspra sulle scoscese, dove non va nessuno e
fin anche il vento arriva rallentato dalle trame della vegetazione di
boschetti e radure percorse dalle acque che ruscellano verso il lago,
Clément si costruirà negli anni una casa «che non sta dentro le mura»,
dove la parte coperta dal tetto è un luogo di attraversamento e dove «il
giardino spunta da tutte le aperture»; dove l'uso stravolge il
progetto, prevalgono il pianoforte, le stanze-studio che consistono in
collezioni di semi, insetti, rocce, erbari. Tra peripezie burocratiche e
indagini poliziesche istigate dai poco notabili locali che conducono i
gendarmi alla ricerca di droghe a visitare impressionati il censimento
scientifico con etichetta di oltre trecento specie vegetali disseminate,
la costruzione procede senza permesso, energia elettrica; con materiali
locali e tecniche edilizie all'insegna del riuso di oggetti, fino
all'invenzione della scala senza ringhiera tratta dalla torsione di un
unico ramo caduto di un albero centenario, offerto dal giardino. Così,
la sensibilità di un pensiero ecologista ante litteram e una pratica
politica anticipatrice di modelli alternativi allo sviluppo
unidirezionale si affiancano e si intrecciano con l'osservazione e la
sperimentazione che nel giardino-laboratorio de la Vallée condurrà a
distillare quei concettí-metafora per cui Clément è noto e variamente
amato e contestato, spesso strattonato. Dal Giardino planetario che sul
filo del paradosso assimila il nostro pianeta ecologicamente determinato
a un giardino di cui farci custodi, al Giardino in movimento, dove
occorre osservare e apprendere dalla dialettica delle energie dei luoghi
il potere di invenzione del genio naturale, per assecondarne il
movimento. Il racconto procede tra i rituali delle visite al cantiere
dei locali (con una galleria di figure che svaria dal Benjamin poeta
archeologo autodidatta a Loulou muratore nomade che va a rosso, a
Femande, che legge nelle nuvole) e reportage che rendono famoso il
giardino che con il trascorrere
delle stagioni matura il suo carattere. In una passeggiata di soglia in
soglia, si intravedono spazi continuamente ridefmiti dal dispiegarsi
delle interazioni tra le specie che li abitano, gli animali che vi si
installano, le piante che vagabondano o si sedentarizzano. Una
preminenza di relazioni sulle forme strutturate. Dalla Grande quercia,
perno che orienta la casa al soleggiato Campo, luogo di varietà con
oltre cinquanta diverse specie seminate, da censire da una zattera
sospesa insieme agli insetti in liste che variano con gli anni; dal
Salotto delle panaci, cui si deve l'invenzione del giardino in
movimento, alla Stanza delle Rocce, terreno sperimentale per le varietà
frugali; dall'orto «la stanza che richiede maggior riguardo», dove
abbandonata la forzatura delle recalcitranti, si coltivano oramai
soltanto le specie consenzienti -, al melo reclinato che alimenta
ricacci verticali, alla colonia di gunneracee dalle foglie giganti;
dalla Stanza delle felci ai bucaneve, le scille, i papaveri blu
meconopsis, le piante di angelica gians che oltrepassano il tetto, i
carpini potati come gatti arrabbiati... Conclusi dopo anni i lavori
della casa («ho un indirizzo»), la ricerca continua. Clément sentirà
allora di voler partire per un giro del mondo di quasi due anni. Perché
«solo il viaggio apre le porte di una casa di cui si credeva di avere le
chiavi». E una volta tornato, parte ancora. Per quel breve viaggio a
ritroso da La Vallée verso la Grange la casa dove lo aspetta il padre.
Un percorso anche verso quell'altro giardino, scandito dall'incontro con
gli aceri da zucchero che aveva piantato armi addietro, «per puro
piacere, per vedere i colori indiani», con il salice inclinato
sull'acqua, i rododendri e tutti gli altri alberi «scelti a comporre il
paesaggio previsto, proprio come sulle riviste». Errori di infatuazione,
come li definisce. E già si prepara la festa che trasforma la notte a
la Vallée in un teatro di ombre d'eco balinese: contro le regole di
conformità, sussumendo in certo modo in giardino ogni dimensione
estetica in un'etica di relazione rispettosa con la natura natura in
primis'se ne celebra così l'ordinaria stravaganza.