Francisco Suárez, il gesuita principe delle raffinatezze mentali della
Seconda Scolastica, nell'Opera sulle tre virtù teologiche, alla Disputa
XIII, tratta il tema della guerra. Nove sezioni sul bellum justum che ora, con testo a fronte, sono state
tradotte per la prima volta da Aldo Andrea Cassi (Quodlibet, pp. 190,
euro 22), autore anche dell'acuto saggio introduttivo.
Queste lectiones, furono tenute da Suárez a Roma, dove dal 1579 al 1585
fu alla prima cattedra di teologia del Collegio Romano. Giunse nell'Urbe
dopo aver insegnato filosofia a Salamanca e Segovia, teologia a
Valladolid e Avila. Suárez partecipa al dibattito del tempo intorno al
bellum justum con una cultura e una capacità di analisi che ancora oggi
stupiscono. E si pone domande attualissime: intervenire con le armi per
aiutare gli innocentes è «guerra giusta»?
Una simile scelta oggi si preferisce chiamarla «guerra umanitaria». E
ancora: quali sono le azioni lecite in bello? Nella Sezione VII,
intitolata Qual è modo giusto di condurre una guerra, il gesuita volpino
scrive nella «seconda conclusione»: «Una volta iniziata la guerra, e
durante tutto il tempo che precede la vittoria, è giusto inferire al
nemico tutti i danni che sembrano necessari per ottenere soddisfazione».
Cristianamente Suárez esclude le «ingiurie dirette contro persone
innocenti»; le quali, però, occorre ben capire chi siano. Tali pagine
saranno lette da pensatori come Schopenhauer o von Clausewitz, per
approfondire le ragioni delle guerre o per comprendere cosa siano
veramente. Oggi le operazioni belliche si fanno con economia e finanza.
Ma codeste varianti i gesuiti le avevano già intuite.