Gianni Celati da parecchi anni vive a Brighton, da quando ha lasciato
l'insegnamento. È stato raggiunto sotto la pioggia in un parco, ha
risposto al telefono con il cappotto sopra la testa per non bagnarsi. Ha
vissuto a lungo all'estero, in Francia e America e molti anni in Africa
dove sono stati girati alcuni suoi documentari. Selve d'amore è una
raccolta di quattro racconti, divertenti e un po' surreali, pubblicata
da Quodlibet Compagnia Extra.
C'è qualcosa di autobiografico?
«No, anche se qualche episodio è scivolato. Ci sono dei personaggi
reali, un mio zio muratore che ho amato tantissimo mi ha ispirato il
nonno di Pucci del racconto finale, anche lui aveva un bellissimo
giardino. C'è anche mio padre che era una meraviglia d'uomo ma prendeva
arrabbiature bestiali. Ci sono tanti episodi che mi hanno raccontato in
Africa e ricordi della prima giovinezza».
Lei ha anche lavorato come traduttore spaziando da Celine all'Ulisse di Joyce.
«Sì, mi sono imbarcato in imprese tremende, per tradurre Colloqui con il professor Y di
Céline ho dovuto imparare lo slang parlato nei quartieri popolari e
alcuni termini caratteristici andando nei bistrot. Ho tradotto anche
Mark Twain, Joseph Conrad, Melville e Stendhal. Avevo avuto un
professore di inglese bravissimo e mi ero laureato con una tesi su
Joyce. Ho fatto la pazzia di tradurre l'Ulisse stimolato da Einaudi e ho
impiegato più di sette anni».
Si dedica ancora al cinema?
«Magari, lo farei volentieri ma non c'è modo di riuscire ancora a fare
cose con due soldi come qualche anno fa. Non scrivo nemmeno più, sono
anziano e stanco».
Lei faceva parte del gruppo artistico dei Lunatici.
«Ognuno è andato per la sua strada, sono rimasto in contatto solo con
Ermanno Cavazzoni che lavora ancora come un matto. Ci sentiamo spesso al
telefono, quando torno in Italia vado subito a trovarlo e a pranzo a
casa sua».
Conosce Varese?
«Sono venuto solo una volta nel 2001, quando avevo vinto il Premio Chiara».