Recensioni / La favola di Toti Scialoja

Toti Scialoja era un uomo capace di dolcezze infinite, ma anche di ire funeste come sa bene chi lo ha a lungo frequentato. D'altra parte ( ma quella non era ira) spesso gridava dipingendo, come a voler trasferire la forza che gli ribolliva dentro direttamente sulla tela o sulla carta. Di questa urgenza sua moglie Gabriella Drudi, che era un'eccellente critica d'arte oltre che scrittrice, è stata infinite volte testimone diretta. Così come ha condiviso i dubbi e i rovelli che un artista colto e profondo come Toti nutriva talvolta sul suo lavoro. Un lavoro, quello pittorico, che ha una lunga storia, partendo dal figurativo per sbocciare poi nelle superfici animate solo dal gesto, in un susseguirsi di tecniche diverse, quando il pennello cede allo straccio, fino alla creazione delle Impronte pensate e realizzate a Procida sul finire degli anni Cinquanta. Ha scritto confelice sintesi Fabrizio D'Amico che si tratta di "un miracoloso punto di sutura fra gesto e pensiero, fra parola e sentimento, fra consapevolezza e cecità della mano che appoggia colore sulla tela".
Il primo a usare il termine impronte, a proposito di certe prose dì Scialoja, era stato Eugenio Montale nel '52. Il ligure Montale attento alla moneta che, raccontava Toti, gli chiedeva i tubetti di colore non del tutto spremuti per i suoi piccoli quadri. E come Montale si faceva pittore, così Toti sarebbe diventato poeta, sia pure di un genere assai diverso: il "nonsense" creato prima per i bambini di famiglia e poi riusato in poesie per un pubblico senza età. Calvino si innamorò della poesia di Scialoja perché sua figlia Giovanna aveva imparato a memoria le storie della vespa e della zanzara e amava recitarle. Scialoja aveva in mente gli ottonari del Corriere dei Piccoli letti da bambino, ma poi si era accostato a Lear, a Canon, a Ragazzoni: ora c'è un bel libro di Alessandro Giammei, Nell'officina del nonsense di Toti Scialoja, pubblicato dalle edizioni del Verri che indaga i nonsense con cui l'altra metà di Toti si era creato un pubblico diverso da quello che aveva come pittore.
Eppure il pittore vantava non poche credenziali, l'attenzione di Pasolini (il Pasolini allievo di Longhi) e persino quella di Gadda che lo cita ( unico pittore ricordato in quel romanzo) in una pagina del Pasticciaccio, quando il brigadiere guarda dall'alto Roma "distesa come in una mappa o in un plastico dove una cupola di madreperla richiamava un mattutino di Scialoia" ( scritto così, con la i normale ) . Il Pasticciaccio è del '57: Scialoja ha poco più di quarant'anni e una cospicua attività alle spalle. Tra l'altro è stato anche critico o cronista d'arte per la rivista di Alba de Cespedes, Mercurio, a Roma nel dopoguerra. Negli stessi anni si apre la stagione americana: Toti a New York conosce e si confronta con i grandi dell'Action Painting. Ne ricaverà una lezione di libertà formale, dalui elaborata in modo molto personale, e i De Kooning, Rothko, Motherwell, Kline, Twombly entreranno nel pantheon dei suoi amici. Un pantheon affollato,
perché Toti ha sempre in qualche modo vissuto in pubblico: come insegnante all'Accademia di Belle Arti dove ha avuto allievi come Pino Pascali, Kounellis, Giosetta Fioroni, Nunzio, Gianni Dessi, Adrian Tranquilli e tanti altri ancora; come uomo di cultura che frequentava i pittori (Achille Perilli) ma anche i letterati, sicché a casa sua trovavi Raboni, Arbasino, Balestrini, Manganelli, Malerba, Giuliani, Pagliarani, Antonio Debenedetti... Non mancò il Convegno di Orvieto dell'aprile 1976 organizzato da Malerba con gli amici della neoavanguardia. Proprio Il Antonio Porta, cui toccava presiedere una riunione del mattino, annunciò che la sera prima Scialoja gli aveva detto un suo breve nonsense: "Il sogno segreto/dei corvi di Orvieto/è mettere a morte/i corvi di Orte". L'anno dopo eravamo tutti a casa Scialoja in piazza Mattei 10 per festeggiare l'uscita del libro La stanza la stizza l'astuzia pubblicato dalla Cooperativa Scrittori.

Nella storia del pittore Scialoja bisogna almeno ricordare le tappe parigine e il viaggio a Madrid, negli anni Ottanta, che fruttò l'innamoramento per Goya, il Goya nero. Bisognerebbe dire anche delle moltissime mostre e della presenza alla Biennale e della lunga teoria dei critici che della sua opera si sono occupati, a cominciare da Brandi, Briganti e Dorfles. E nella storia del poeta Scialoja saràalrneno da segnalare, dopo la lunga stagione dei nonsense, l'approdo a una ricerca metrica più classica (Rapide e lente amnesie). E poi Scialoja sapeva stare in scena. Tra l'altro aveva lungamente lavorato anche per il teatro e insegnato scenografia. Faceva talvolta splendide imitazioni gestuali di grandi pittori suoi amici: un vero cinema muto e recitava i suoi nonsense e lo si sarebbe ascoltato all'infinito. "Pipistrello ti par bello far pipì dentro l'ombrello?".