Recensioni / Infrastruttura di un territorio che cambia

Il libro raccoglie le riflessioni, le ricerche e i progetti nati a partire da alcune esperienze di progettazione urbanistica che hanno coinvolto alcuni ricercatori del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano fra gli anni 2008 e 2013. Esperienze diverse, nate in tempi diversi fuori e dentro l'università, ma che si sono date tutte in stretta relazione e a ridosso del processo che ha accompagnato la realizzazione dell'autostrada pedemontana lombarda, e per questo hanno offerto l'occasione per un più ampio ripensamento dei territori della provincia di Monza e Brianza, che l'infrastruttura attraversa.
Anche per questa sua natura il libro è articolato, complesso e, come spesso avviene per i libri che illustrano esperienze di progettazione, assume differenti forme argomentative e narrative: ai testi lunghi dei saggi si alternano gli approfondimenti critici, il resoconto di cronache dell’esperienza sul campo, le mappe di descrizione del territorio, gli schizzi, gli schemi e i diagrammi per l’illustrazione di progetti, scenari e visioni al futuro. Anche solo per questa ricchezza e complessità il libro varrebbe la pena di essere letto.
Cionondimeno la pubblicazione non rinuncia, ma anzi ha l’ambizione di proporre dentro la complessità e la ricchezza che ne distingue la forma, differenti quadri interpretativi e livelli sinottici che nel progressivo sovrapporsi contribuiscono alla costruzione di una possibile mappa dei temi, delle questioni e del ruolo del progetto urbanistico nell’Italia e nei territori contemporanei di oggi. Luoghi e geografie caratterizzati, come più volte ricordano le iniziative di ricerca messe in campo dallo stesso gruppo di autori, da un cambiamento e una crisi che non sono momentanei e nemmeno congiunturali (si vedano in proposito, ad esempio: Longo, Alì  2011; Lanzani 2012; Lanzani, Merlini, Zanfi 2012; Zanfi 2013).
I principali e più evidenti temi che attraversano il libro e per questo ne rappresentano anche modi trasversali di lettura sono: un territorio, quello pedemontano lombardo, che anche a causa dell’autostrada pedemontana (ma non solo) cambia di nuovo; la riflessione sul ruolo dell’urbanista architetto che nei grandi processi di trasformazione del territorio è sempre più spesso obbligato a operare in ambiti laterali e rimediali; un progetto urbanistico le cui forme, anche per la scarsità di risorse, oscillano ripetutamente fra una dimensione teorico esplorativa e la pratica tecnico operativa; una nuova ed estensiva idea di ‘infrastruttura’ che, anche alla luce di quanto sopra detto, superi il binomio strada/infrastruttura.
Il primo livello narrativo, che fa da sfondo e dà anche un senso al titolo della pubblicazione, offre una interpretazione estesa e coprente dell’idea di ‘infrastruttura’. In questo senso il libro può anche essere inteso come il tentativo di proporre una lettura che sappia superare le logiche semplificatrici che troppo spesso hanno caratterizzato le politiche infrastrutturali del nostro Paese.
A partire da un’analisi critica, più volte ribadita dagli autori, sul progetto e il processo che ha portato alla realizzazione dell’autostrada Pedemontana, il libro propone, nelle parole di Lanzani, il necessario superamento di una idea di grande opera intesa quale «prevalente, se non esclusivo ambito di azione per la politica territoriale europea e soprattutto italiana» ( p. 9). Un’idea, quella sottesa nel progetto della pedemontana lombarda, sostenuta in Italia nel corso di tutta la seconda metà del XX secolo, che si è alimentata a partire dal concetto di capitale fisso nella convinzione che ad una ricca dotazione di grandi opere infrastrutturali corrispondesse anche un processo di sviluppo. Tuttavia, a fronte di una radicale trasformazione del territorio, questa idea ha spesso deluso le attese per un mediocre risultato nel soddisfacimento dei bisogni primari (Cremaschi 1990). Un’idea di opera infrastrutturale che, se da un lato ha consentito nel dopoguerra un importante processo di modernizzazione di tutti i maggiori paesi occidentali (Ross 1995), dall’altro ha troppo spesso relegato il concetto stesso di infrastruttura entro logiche settoriali e manufatti spesso autoriferiti, incapaci di scambiare, di intrattenere relazioni con l’intorno e, per queste stesse ragioni, di farsi territorio.
Come ricordato da Lanzani e Longo, l’approccio proposto nel libro richiama invece un’attitudine progettuale che in materia di politiche infrastrutturali era già presente «nei piani di bonifica dei primi anni dell’unità di Italia, per trovare visioni capaci di raccordare, infrastrutture, insediamenti, paesaggi e forme istituzionali di coordinamento ed integrazione […] che hanno saputo congiuntamente realizzare nuove infrastrutture, rammodernare le preesistenti, riorganizzare i sistemi insediativi e ambientali e “fare paesaggio”» (p. 28). In questo senso, l’idea di infrastruttura che è sottesa al progetto della pedemontana lombarda rimanda, seppur con differenti declinazioni, alle opere infrastrutturali in questi anni realizzate o in corso di realizzazione in Veneto, come il ‘passante’ di Mestre o la pedemontana veneta. Nelle ricerche che su questi territori sono state condotte tali opere sono state riconcettualizzate come ‘tubi’ per la specializzazione e il programmatico distacco dal contesto che le caratterizza; in questi stessi studi ad esse viene contrapposto il progetto di ristrutturazione del supporto infrastrutturale minuto di acque e strade, la ‘spugna’, che a partire da esigenze idrogeologiche e di governo del territorio hanno saputo nel lungo tempo divenire elementi in grado di definire la grana, i ritmi e le spazialità che connotano il paesaggio veneto (Secchi 2010; Fabian Pellegrini 2012).
In modo non troppo dissimile, attraverso e grazie a uno spazio possibile che è dato dal progetto delle opere di compensazione della pedemonatana lombarda, gli autori realizzano un progetto di paesaggio per la provincia di Monza e Brianza. Il libro propone così un’idea diversa di infrastruttura che non è più intesa solo in quanto autostrada, ferrovia veloce o, più in generale, grande opera. Dai progetti illustrati nella pubblicazione emerge progressivamente l’idea di una infrastruttura che è interpretabile, in senso più esteso, come attrezzatura disponibile a supportare necessità, bisogni, modi d’uso delle diverse popolazioni che attraversano il territorio; in altri termini, una infrastruttura che sappia in concreto farsi capitale fisso sociale. Per questo, se oggi l’autostrada non basta, l’infrastruttura diventa, di volta in volta, connessione ecologica est-ovest, greenway e pista ciclabile sul territorio (p. 90), parco urbano e progetto locale (p. 98), rete, corridoio, margine ed elemento di riorganizzazione del paesaggio della campagna urbana (p. 156), radura, isola di natura e agricoltura, dispositivo per il controllo idrogeologico e la depurazione delle acque (p. 126), infrastruttura per il tempo libero ed elemento per la reinvenzione degli spazi aperti (p. 180). Un’idea di infrastruttura complessa e multidimensionale frutto di un processo che sappia integrare le esigenze di mobilità lenta con gli ambiti di sviluppo della naturalità, gli spazi per il tempo libero e il loisir.

Questo slittamento concettuale dell’idea di infrastruttura introduce ad un altro importante tema che attraversa orizzontalmente tutta la pubblicazione: l’autostrada pedemontana non è rilevante in sé ma è importante perché offre l’occasione per attivare una importante riflessione sul destino del territorio che attraversa. Attraverso (o oltre) l’autostrada la pubblicazione tratta del futuro del territorio pedemontano lombardo, già oggetto in passato di numerose e importanti ricerche, e che oggi anche alla luce della realizzazione della nuova infrastruttura diventa un territorio che cambia di nuovo.
L’analisi dello stesso Lanzani (con Stefano Boeri e Edoardo Marini ) ci conduceva negli anni novanta a riconoscere alcuni cambiamenti della regione urbana milanese che introducevano ad alcuni fondamentali slittamenti di senso del progetto urbano, dalla dimensione più tradizionalmente ‘urbana’ allo spazio ‘reticolare’ e ‘a bassa densità edilizia’ (Boeri, Marini, Lanzani 1993).
Oggi il libro, a vent’anni esatti da questi studi, ci invita a riavvicinare lo sguardo su una delle più complesse ed estese urbanizzazioni d’Europa – la conurbazione pedemontana – oggetto, nonostante la crisi, di un consumo di suolo sempre crescente (p. 34) cui si accompagnano profondi problemi idrogeologici, processi di dismissione di parti di territorio, di attrezzature pubbliche, di infrastrutture e spazi della produzione. Salvo alcune importanti eccezioni, il territorio pedemontano lombardo appare sempre più come l’espressione di un processo evolutivo in cui la crescita è disaccoppiata dallo sviluppo e dove alla nuova e continua offerta insediativa si associano importanti processi di abbandono e sottutilizzo di parti esistenti della città (p. 58-59).
Ulteriore livello e oggetto della pubblicazione sono le interpretazioni del ruolo e dei possibili spazi di azione del progettista e studioso di urbanistica in un’epoca caratterizzata da una profonda crisi economica e ambientale che condiziona i modi stessi di produrre architetture e spazi urbani, di fare ricerca e di intendere il progetto.
Dopo una lunga e definitivamente conclusa fase di crescita delle economie del nostro Paese, il progetto urbanistico si trova infatti a operare oggi in una condizione di ristrettezza che consente di traguardare entro una prospettiva completamente differente le numerose ricerche ed esplorazioni progettuali che prima di oggi sono state condotte su questi stessi territori.
Un ruolo, quello dell’architetto e ricercatore di urbanistica, che se da un lato, dentro l’università, cerca insistentemente i modi per attivare connessioni e ricadute della propria ricerca sul territorio, dall’altro, nei processi concreti di costruzione della città, è spesso marginale, condannato come in questo caso a operare in campi laterali entro una logica rimediale (p. 68-87).
Con un approccio a cavallo fra il realismo e il pragmatismo il libro rivendica il possibile spazio di azione dell'urbanista e dello studioso di urbanistica in quanto professionista critico che usa concretamente gli spazi (laterali) e le risorse (scarse) che gli sono stati concessi sul territorio per costruire visioni al futuro, attivare azioni di ricerca ed esplorazioni progettuali.
Se visto attraverso questa chiave interpretativa, il libro stesso appare il frutto di un’azione pragmatica: non un’attività di ricerca predefinita costruita esclusivamente dentro l’università, ma il risultato di un azione di post-produzione che cerca di ricondurre entro una stessa cornice di senso le diverse esperienze professionali, didattiche e di ricerca che, come già detto, hanno visto coinvolti uno stesso gruppo di docenti e progettisti in contesti fra loro anche molto differenti.
A questa dimensione, appena richiamata, se ne collega naturalmente un’altra che introduce a una riflessione sulla forma del progetto, nella consapevolezza che questa non è mai indifferente ai referenti per cui il progetto stesso è elaborato.
Due, da questo punto di vista, sembrano le forme progettuali ricorrenti nella pubblicazione.
La prima, più pragmatica e tecnica appunto e in cui i referenti primi sono gli amministratori, i pubblici decisori e i committenti (coincidenti in questo caso con la società Pedemontana). Qui il progetto appare come ‘esercizio di progettazione tecnicamente codificato’. In epoca di incertezze e profonde trasformazioni, questa prima forma intende il progetto come un dispositivo che arriva a compimento di un complesso ‘iter procedurale’ e, anche per questo, deve sapersi adattare nel tempo, deve sapersi fare processo, essere frutto di un approccio multidisciplinare e multisettoriale (un approccio ‘politecnico’, appunto). È una forma del progetto che bene conosce le pieghe degli spazi normativi e delle procedure. Attraverso un linguaggio critico e una grande precisione, il progetto così inteso deve sapersi muovere e incuneare nelle norme e procedure per condurre le trasformazioni dove devono e possono essere guidate. In questo senso il progetto, teso costantemente alla riqualificazione e ricomposizione dei territori della città contemporanea, non rinuncia mai alla ricerca e alla sperimentazione, ma non è necessariamente innovativo. Così tecnicamente codificato, il progetto deve, soprattutto, accettare di adattare il proprio linguaggio specialistico a dimensioni più pubbliche, entro le quali aspira a confrontarsi per partecipare alla costruzione di un immaginario più ampio e condiviso.
La seconda forma del progetto è invece maggiormente legata a pure operazioni di ricerca ed esplorazione progettuale maturate in ambito universitario. In essa è implicitamente rivendicata un autonomia del progetto e la sua capacità di diventare strumento per produrre conoscenza, capace di travalicare la dimensione locale e settoriale per avanzare quadri interpretativi più ampli e generali.
In realtà, come ricordato nell’introduzione stessa della pubblicazione e come anche evidente dalle elaborazioni progettuali contenute nel volume, le due dimensioni – quella tecnico operativa e quella teorico esplorativa – tendono spesso a confondersi e intrecciarsi. «Solo a prima vista i due progetti appaiono riconducibili alle dicotomie sopra richiamate. […] In realtà è proprio l’intreccio continuo tra queste dimensioni e quello più generale tra disegno e processo a costituire […] uno degli elementi di possibile interesse di questi lavori».
La prima forma travalica la dimensione eminentemente operativa nell’aspirazione, a partire dal disegno delle compensazioni ambientali, di riformulare i concetti di compensazione e di infrastruttura, interpretandoli speculativamente quali elementi fondamentali perché strutturanti la rete ecologica est-ovest della regione; una rete dunque che si configura come quadro complessivo, masterplan per l’intero territorio pedemontano. La seconda forma, coincidente con una riflessione teorica nella forma di esplorazioni progettuali sugli spazi aperti e produttivi di una vasta porzione dell’area pedemontana, supera la dimensione eminentemente teorica attraverso una serie di riscontri operativi che possono rivelarsi utili alla realizzazione del progetto a partire da alcune ‘prese’ sulla realtà.
Fra le due forme del progetto lo spazio sempre più esiguo del ricercatore e urbanista che rivendica ancora, orgogliosamente, un ruolo e un’utilità entro l’articolato e complesso quadro delle procedure decisionali che caratterizzano la trasformazione infrastrutturale del territorio contemporaneo nel nostro Paese.