Recensioni / Tutto sui russi

Può sembrare scontato ripetere un’intuizione di Zygmunt Bauman (e non solo sua) per cui è il romanzo, più di un libro di storia o di un dotto saggio, a raccontarci il volto di un Paese o la natura di una società. Eppure rileggere (o leggere per la prima volta) "I signori Golovlév" (traduzione di Ettore Lo Gatto, Quodlibet, pp. 371, € 15) di Michail Saltykov-Scedrin, scrittore ottocentesco, aiuta a capire la Russia, anche quella odierna di Putin.
L’autore è stato uno dei più importanti romanzieri russi; figlio di piccola nobiltà terriera, critico nei confronti dell’ambiente sociale da cui proveniva, era legato ai circoli letterari progressisti e filoccidentali di San Pietroburgo. Di questo libro esiste
una traduzione più moderna, di Bruno Osimo, ma l’editore ha deciso di riproporre quella “storica” di Lo Gatto, padre della russistica italiana. L’operazione è ben riuscita perché la prosa un po’ antiquata di Lo Gatto rende paradossalmente più attuale il romanzo di Saltykov-Scedrin.
Il libro racconta il crudele tramonto di una famiglia, che assomiglia a quella dello scrittore: nobiltà rurale alle prese con un mondo che cambia. Siamo attorno all’anno 1861, quando lo zar abolì la servitù della gleba. I nobili rimasero senza schiavi, l’economia russa cominciava ad assumere connotati capitalistici. In questo quadro, dell’irruzione della finanza, del denaro al posto dei beni in natura, nella famiglia protagonista le caratteristiche del buon capitalista si trasformano invece in avidità, volgarità, mancanza di scrupoli. L’autore racconta come e perché in Russia non sia nata una vera classe media, una società civile. Ma il romanzo va letto anche per l’indagine sul Male assoluto, su individui che distruggono gli altri e annientano la propria anima, senza alcun altro scopo. Un tema sul quale si sono esercitati, e di cui continuano a scrivere, tanti letterati russi.