Recensioni / Francisco Suarez e il «bellum iustum» all'epoca delle nazioni sovrane

Dopo aver insegnato filosofia e teologia a Salamanca, Segovia, Valladolid, Avila, il gesuita spagnolo Francisco Suàrez durante il pontificato di Gregorio XIII fu chiamato a Roma, dove dal 1579 al 1585 tenne la prima cattedra di teologia presso il Collegio Romano. Qui scrisse il De triplici virtute theologica, edito nel 1621. All’interno dell’opera, dedicata alle tre virtù teologali, troviamo la sezione intitolata Disputatio de bello, pubblicata per la prima volta in italiano (Sulla guerra, a cura di Aldo Andrea Cassi, Quodlibet, pp. XXXIII-147, testo latino a fronte, € 22,00). Suarez fu mente agguerrita e brillante e fu la sua Defensio fidei, sollecitata da Paolo V, a sostenere i cattolici nella polemica contro Giacomo I d’Inghilterra. Tra Cinque e Seicento la riflessione teologica, morale e giuridica fu chiamata a confrontarsi con questioni nuove e dunque rispondere a una serie di quesiti di ambito giusinternazionalista relativi al bellum iustum, la guerra giusta, nell’epoca delle nazioni sovrane «non più disposte a sottomettersi al giudizio dell’imperatore o del papa» (Cassi). La trattazione dello spagnolo è condotta in termini strettamente neoscolastici: le tesi sono accompagnate da obiezioni, fonti, auctoritates, opiniones, prove a sostegno dell’argomentazione, osservazioni, corollari, conferme, risposte, spiegazioni. L’impalcatura di solida matrice tomistica esigeva una rigorosa procedura applicata a ogni aspetto del comportamento e i casi di coscienza dovevano trovare un sostegno adeguato e una ferma ratio. Si comprende infatti che il maggiore ostacolo al retto agire non è l’errore, ma il dubbio. E. il dubbio la vera bestia nera del casuismo, il nemico che più degli altri può strappare anime alla respublica christiana. Suàrez non può non muovere dalla codificazione sancita da San Tommaso: la guerra giusta è quella indetta da una legittima autorità, sulla base di una giusta causa e condotta con retta intenzione. E dunque la trattazione si inoltra in ciascuno dei tre requisiti e ne sviscera le implicazioni teoriche e pratiche. Tracciato il confine della questione nell’ambito della ragione naturale, la disputatio fa risolutamente capo al concetto di iniuria, l’ingiuria, ciò che è contrario al diritto: il piano su cui l’autore si muove infatti non è quello della fede ma della logica. Tra le formulazioni spicca quella che sottrae ai principi cristiani il titolo di muovere guerra per vendicare le offese recate a Dio, perché Dio se vuole può vendicarsi da solo e perché questo darebbe adito a una moltiplicazione di aggressioni. O anche la dimostrata legittimità del tirannicidio. L’attenzione del giurista e teologo si sofferma anche sui privati cittadini e sui soldati semplici. Essi possono trovarsi di fronte al dubbio se seguire o meno il loro principe in una guerra che potrebbe essere ingiusta e dunque spetta alle loro singole individualità esaminarne le ragioni e determinarne nei limiti del possibile la necessità (la pace di Augusta è faccenda relativamente fresca). Nel Siglo de Oro, con le nuove strutture statali e le colonie d’oltreoceano, le nazioni hanno di fronte problemi più complessi di territorialità e di etica, e anche problemi più ardui legati al riconoscimento giuridico di possesso, alla sedizione, al duello, alla difesa degli innocenti e così via. Suàrez è, con Vitoria, Grozio e Gentili, tra i padri del diritto internazionale moderno ed è stato oggetto di attenta analisi (Leibniz, lo stesso Grozio, Schopenhauer, Heidegger) per la sua capacità di guardare al problema della guerra alla luce della ragione naturale e della razionalità, ma probabilmente anche per aver saputo costruire uno spazio autorevole per il pensiero.