Recensioni / Travestito da manuale di self help, «Falsi d'autore» di Daniele Petruccioli

Nelle complesse mappe a più piani dei Megastore del libro i manuali fai da te rappresentano da anni una tra le zone più estese. Le guide per crescere bene i figli, per dimagrire, per potare le rose non sono che un piccolo esempio della smisurata ossessione paidetica che sembra animare la nostra contemporaneità. Non c’è pratica, non c’è soffio del cuore che non possa essere insegnato a una massa di lettori incapaci.

Generalmente del tutto inutili, i prontuari del nostro quotidiano sono qualcosa di necessariamente votato all’aleatorietà. Da pochi giorni però, il reparto manualistica delle librerie italiane si è arricchito di un testo piuttosto singolare, Falsi d’autore Guida per orientarsi nel mondo dei libri tradotti, di Daniele Petruccioli per Quodlibet (pp. 124, € 10,00). Volutamente travestito da manuale di self help di stampo americano, di cui ricalca la pragmatica e il linguaggio gentile, Falsi d’autore è in realtà tutt’altro che un libro stupido. Con una divertente operazione di mimetismo parodico, la guida per orientare il lettore sprovveduto a capire se un libro è stato tradotto bene o male si risolve in un saggio sulle diverse possibilità espressive.

Daniele Petruccioli, che di mestiere fa appunto il traduttore, prende per mano chi legge guidandolo passo passo all’interno del mondo dell’editoria contemporanea. Come si fa una quarta di copertina? Che cosa è il colophon? Perché a volte il nome del traduttore viene omesso, oppure si trova seminascosto tra le righe del copywriter? Partendo da queste semplici domande, con l’aiuto di disegnini a matita e di qualche battuta, ci si addentra lentamente nel mondo ben più complesso dei rapporti tra autore e traduttore, tra testo e parola, mettendo in gioco la nozione di «sbaglio» (quando una traduzione è »sbagliata»?), di transcodificazione, di interpretazione, di autorialità. La guida al benessere del lettore in libreria si trasforma così in un terreno di analisi e messa in discussione del gesto traduttivo stesso.

La tesi di fondo del libro della traduzione come atto fondamentalmente interpretativo comporta una serie di ricadute sulla figura del traduttore in sede teorica e anche pratica – per quanto riguarda il suo ruolo contrattuale con le case editrici – ancora oggi in fase di costruzione. Se un traduttore è anche e soprattutto un interprete (nello stesso modo in cui un violinista o un pianista sono interpreti di un brano composto da altri), a un unico testo-spartito corrisponderanno necessariamente infinite esecuzioni-traduzioni, tutte differenti e molte perfettamente legittime. Starà a questo punto al lettore, non più sprovveduto, la formazione di un proprio «gusto» e la preferenza per esecutori e spartiti ogni volta variabili. Ovviamente l’idea di un mondo in cui per ogni testo esistono in commercio più traduzioni e in cui i lettori, da bravi melomani del libro, abbiano orecchio e sensibilità per riconoscere, preferire un traduttore-interprete a un altro è del tutto utopica. Resta comunque come orizzonte a cui tendere, come esercizio di educazione sentimentale a cui sottoporci tutti, autori, traduttori, editori, lettori. «Nessuno al pari di un traduttore italiano sa maneggiare i suoi ingredienti linguistici per cullare, spaventare, irriverire, per poi consolare all’improvviso con un pizzico del caro vecchio recitar cantando. Vogliamo valorizzarle, una buona volta, queste nostre risorse nazionali?».