Sulla stupidità delle galline poggia l'intera costruzione di una
brillante raccolta di 155 micro racconti di Luigi Malerba dal titolo
fascinoso: Le galline pensierose. Uscito nel 1980 per Einaudi, e oggi
ripubblicato da Quodlibet (dopo un'edizione Mondadori del 1994), il
libro, che non è né per bambini né per ragazzi, si offre come ineffabile
campionario della stupidità umana. Qui lo stereotipo della gallina
scema si è evoluto nella forma ossimorica della gallina pensierosa. Se
la gallina si contentasse della propria imbecillità, suggerisce Malerba,
sarebbe un'onesta, accettabile gallina.
Ma quando la gallina ambisce al pensiero, al benessere, all'identità, a
una vita psicologica, alle emozioni dell'arte e della letteratura, al
turismo, alla vita spirituale, agli affari, alla politica, precipita in
uno stato di idiozia che non ha riscatto ed è, infatti, quasi sempre,
vittima di se stessa: «Una gallina pensierosa si metteva in un angolo
del pollaio e si grattava la testa con la zampa. A forza di grattarsi
diventò calva. Un giorno una compagna le si avvicinò e le domandò cosa
la preoccupasse. "La calvizie", rispose la gallina pensierosa».
Insomma, fra galline gallinologhe, sportive, filosofe, ignoranti,
anticonformiste, impudiche, imprudenti, irrequiete, geografe,
postmoderne, sensitive, incendiarie, americanofile, perverse,
impertinenti, collezioniste, vanesie, svagate, medioevali,
esibizioniste, infelici (e non manca una gallina col mal di denti che
scopre di non avere i denti), Malerba dipinge una fenomenologia
gallinacea che eleva lo stereotipo a capolavoro, a sua preziosa
custodia, in difesa dalla vertiginosa potenza distruttiva della
stupidità di massa. Una posizione a cui, di questi tempi in particolare,
si ha la tentazione di aderire pienamente. Anche perché leggendo gli
apologhi di Malerba, raffinati, acuti, fulminanti, e persino poetici,
non si può fare a meno di pensare, molto concretamente, a persone, note e
meno note, in cui si incappa nella vita di tutti i giorni. Un po' come
accade quando si leggono le Favole di Esopo, che ancora oggi forniscono
una descrizione esaustiva dei peggiori aspetti dell'essere umano e delle
loro concrete conseguenze. Perché, come si legge nella quarta di
copertina del libro, per tirare di nuovo in ballo Calvino: «Per Malerba
osservare le galline vuol dire esplorare l’animo umano nei suoi
inesauribili aspetti gallinacei».
E tuttavia, leggendo un apologo di Malerba che parrebbe ispirato a una
autrice fra le più note e di certo fra i migliori scrittori della
letteratura italiana del Novecento («Una gallina di nome Natalia aveva
deciso di scrivere un romanzo, ma non le vennero in mente né la trama,
né i personaggi, né il titolo né lo stile della scrittura. Fu così che
quella gallina velleitaria scrisse invece i suoi ricordi di infanzia ed
ebbe molto successo fra le oche.»), diventa lampante come nemmeno un
grande scrittore sia al riparo da istanti di assoluta e fulminante
stupidità, e cioè dal farsi anch'esso gallina pensierosa. Perché più
ancora che lo stereotipo dalla gallina stupida è facile ribaltare quello
dell'intellettuale intelligente. E questo è perfettamente nello spirito
di Malerba.