Essere Enzo Cucchi, ma visto dagli altri. È tutto questo un curioso quanto prezioso volume, dal titolo "Vita sconnessa di Enzo Cucchi" scritto da Carlos D’Ercole (Madrid 1978, avvocato e collezionista), il cui destino ha incrociato quello dell’artista marchigiano, e appena pubblicato dalla casa editrice maceratese Quodlibet (pp. 144, euro 16). Tanti ritratti per un unico personaggio, frutto degli incontri con Emilio Mazzoli, Francesco Clemente, Brunella Antomarini, Luigi Ontani, Joseph Helman, Miltos Manetas, Salvatore Lacagnina, Paul Maenz, Bernd KIuser, Mimmo Paladino, Jacqueline Burckhardt e… Enzo Cucchi medesimo. Insomma, artisti, galleristi, amici, ma niente storici e critici dell’arte, che sull’argomento hanno già dato. I colloqui spaziano a tutto tondo sull’universo dell’arte contemporanea, partendo dal personaggio e dalla Transavanguardia per arrivare alla chiamata a raccolta di tanti convitati di pietra, uomini, luoghi, storie, situazioni.
La scrittura di Carlos D’Ercole è brillante, leggera nella sua capacità di approfondire e far parlare gli interlocutori, fino a essere divertente in alcune circostanze. D’Ercole racconta di aver conosciuto Cucchi una decina di anni fa, o forse più. Il primo incontro avvenne a Roma, a cena dal Moro, tra atmosfere che l’autore definisce "ingessate" e il divieto di fumare che mandava in sofferenza l’artista. La complicità si creò sul nome Carlos, che Cucchi subito associò al pugile Monzon, il primo argomento di conversazione tra i due. Comincia così un rapporto che si approfondisce nel tempo e la decisione di D’Ercole di scrivere questo libro dedicato alla filosofia di vita e al modo di affrontare l’arte di Cucchi, rovesciando così la prospettiva critica che nel tempo si è occupata a fondo delle opere, ma non dell’uomo. «Una storia orale – scrive l'autore nella sua Introduzione – non prevede filtri, censure, è un fiume inarrestabile di aneddoti, provocazioni, piccole vendette e riappacificazioni». E questo è lo stile del volume, costruito su un racconto degli intervistati utile anche a capire il loro punto di vista sull’arte e «aggiungere qualche tassello in più alla ricostruzione di almeno trentacinque anni di arte contemporanea in Italia e non solo».
Quelle che emergono dalla lettura sono le tante sfaccettature di un personaggio e forse la sintesi migliore sta tutta in una frase di Manetas: «Enzo Cucchi è uno dei pochi veri pittori rimasti oggi, ben visibile sulla mappa mondiale di Google Earth come lo sono i "postmark" che ci indicano i luoghi salienti. Elegante, sconnesso, a volte stancante, eternamente carismatico, ieri, oggi, domani, per sempre». E Cucchi, che dice Cucchi di sé? Alla domanda «che artista sei?» risponde «sicuramente il migliore» e sulla definizione aggiunge «il più pericoloso, il più fortunato e talentuoso», perché «oggi gli artisti sono garantisti, consociati in qualcosa che rassicura, sono vetrinisti e i musei sono pieni di casalinghe dell’arte». Geniale e insofferente all’estabilishment, un caratteraccio che non le manda a dire ma anche colui che strappa a Joseph Helman un giudizio lapidario sugli artisti italiani: «Cucchi è l’unico che sarà ricordato in futuro».