Basta essere anche solo vagamente interessati alla pittura odierna ed
ecco che questa biografia tutta composta da interviste diventa
indispensabile. Perché svela quanto il re sia nudo: un titolo
alternativo potrebbe essere La grande truffa della transavanguardia ,
capitolo decisivo di un grosso volume sull'arte contemporanea come
bidone. Il bello di questo svelamento è l'assoluta involontarietà,
D'Ercole è un collezionista e molto evidentemente un innamorato di
Cucchi, mai avrebbe voluto fare uno sgarbo al suo idolo. Eppure. Eppure
più che della vita sconnessa dell'artista, dove l'aggettivo è relativo
alla sua idiosincrasia per mail e computer, vi si scopre la sconnessione
fra i pittori della transavanguardia con una qualsivoglia idea di
bellezza, ma che dico di bellezza: di opera. La sconnessione è condivisa
anzi sostenuta dai galleristi e dai collezionisti intervistati siccome
nessuno di loro parla mai di quadri, nemmeno per sbaglio. Ci sono molte
foto ma le tele vi appaiono raramente e sempre sullo sfondo e magari è
meglio così vista la tecnica barcollante di Cucchi e compagni, però la
cosa non può non apparire un lapsus, un errore rivelatore. Un libro
d'arte che non parla di arte? E allora di che cosa parla Vita sconnessa ?
Ma di soldi, diamine! Di soldi, di mercato, di tattiche e strategie per
condizionarlo: di arte in senso stretto mai. C'è Emilio Mazzoli,
gallerista modenese senza il quale la transavanguardia sarebbe forse
rimasta un'elucubrazione di Achille Bonito Oliva, che polemizza a
distanza con un concorrente svizzero: «Io ho più testa, più intuito di
Bruno Bischofberger, solo che lui ha avuto il vantaggio competitivo di
essere svizzero con le banche che gli facevano il 2 per cento. Io ero
italiano, senza una lira, con le banche che mi chiedevano il 25 per
cento». Dispiace dar ragione all'immodesto Mazzoli ma è vero, le cose
stanno così: il mercato italiano dell'arte è per oggettive ragioni
economiche un mercato di serie B, se non C, e chi in Italia si ostina a
produrre o promuovere pittura ha un handicap irrecuperabile nei
confronti dei colleghi tedeschi, inglesi, americani. Quindi è inutile
dare la colpa ai galleristi furfanti, ai collezionisti ignoranti, ai
critici conformisti, che pure esistono e sono tanti, se l'arte italiana
non conta più nulla. Avrebbe più senso prendersela col fisco, grazie al
quale nessuno in Italia ha più i soldi o il coraggio per acquisti
importanti. Ma lasciamo perdere e torniamo all'arte o meglio all'assenza
dell'arte che emerge da questo ritratto impietoso (ripeto:
involontariamente impietoso) del sistema dell'arte. C'è Luigi Ontani che
dà del ladro a Maurizio Cattelan, però con una certa eleganza, parlando
di «cleptomania smodata». C'è Paul Maenz, gallerista tedesco, che
definisce Nicola De Maria «confuso, pretenzioso». Prima di fare a
D'Ercole la confessione delle confessioni: "Io non sono così interessato
alla pittura. Non lo sono mai stato. Nel 1980 quello che mi affascinò
di Cucchi, Chia e Clemente non fu tanto la loro tecnica pittorica ma la
loro intelligenza artistica». Come dire: i transavanguardisti
dipingevano quadracci furbi, poverino chi ci è cascato e beato chi ci ha
guadagnato.
E adesso una confessione la faccio io: come amante dell'editoria auguro
alla Quodlibet, una delle più raffinate case editrici della provincia
italiana (la sede è a Macerata), di vendere molte copie di questo libro,
come amante della pittura spero che ciò non accada siccome tutto ciò
che ruota intorno al quadro ci fa una figura tremenda, come se tutto
fosse in mano a loschi, maldicenti figuri sempre pronti a farsi le
scarpe fra loro e a farle al prossimo. C'è il rischio che un
collezionista legga Vita sconnessa e gli passi per sempre la voglia di
comprar tele.
Tutto sembra mafia, quando Mazzoli spiega il motivo delle presenti
difficoltà di Cucchi: «Lui ha litigato con i potenti e ora i potenti
gliela fanno pagare». Ma che film è, il Padrino parte seconda? Quindi
non esistono valori artistici oggettivi ma soltanto clan e cosche che
decidono chi portare alle stelle e chi seppellire nel pilastro di
cemento? Tutto sembra moda, quando Bernd Klüser, ennesimo gallerista
tedesco di questo libro germanocentrico per la semplice ragione che la
Germania in quanto grande potenza economica è anche (non tutti lo sanno)
grande potenza artistica, parlando del transavanguardista marchigiano
dice: «Lo Zeitgeist era con lui negli anni Ottanta, ora è contro di
lui». Ma certo, il vento è cambiato, oggi la cattiva pittura non si
porta più. Infine di Cucchi sembra restare solo il ritrattino che gli
fece tanti anni fa Goffredo Parise: «Cucchi ha la faccia da matto e la
testa da vitello. E la sua pittura può ricordare quella dei pazzi di
Verona».