"Un essere ruderale". Si autodefinisce così Italo Rota in uno dei passaggi
più intensi del suo ultimo libro, da pochi giorni in libreria ( Una
storia elettrica, Quodlibet Edizioni). E spiega: "Ruderale è un ambiente
con una presenza ridotta di materiale organico, ricco di pietre,
calcinacci, ferraglie, resti di attività antropiche". È almeno dai tempi
di Simmel che architetti e sociologi si interrogano sul valore delle
rovine nella modernità, e cercano di trovare in esse nel loro essere
frammento la rivelazione dell'intero che sono state ma che non potevano
continuare ad essere. Ma Rota non è più soltanto l'architetto flaneur
che si aggira con il suo bastone da passeggio fra í ruderi e le rovine
con lo stesso sguardo con cui potrebbe aggirarsi tra le folle della
metropoli. Rota si sente egli
stesso un rudere: ma non perché vestigia di un passato che scompare,
bensì in quanto scheggia di un presente in cui il mondo si rivela,
attraverso cui il mondo parla. Che sia questo, oggi, il designer? Un po'
architetto, un po' bricoleur, un po' artigiano, un po' artista, ma
forse anche un poco cineasta, ingegnere, scenografo e così via: un
crogiuolo di saperi e di linguaggi. Come l'energia su cui Rota riflette
nel suo libro, anche il design è una forza che c'è ma non si vede, osi
vede solo nei risultati che produce. L'uno e l'altra, in fondo,
accendono, illuminano e risolvono.