Recensioni / Incontri con Ortese, maestra tra i maestri

L’unica italiana. Anna Maria Ortese protagonista di due incontri nel libro.

Interviste? Forse è più corretto chiamarli incontri, quelli che Francesca Borrelli ha fatto con ben quarantadue autori (più una, di cui parlerò dopo) di letteratura e che adesso raccoglie in unlibro di oltre seicento pagine, intitolato Maestri di finzione pubblicato da Quodlibet.
Borrelli possiede un’anima interrogante. Non le basta leggere i libri degli scrittori il cui lavoro ritiene importante (come fa con metodo e serietà); le è necessario incontrarli, non per conoscerne gli autori (i loro «complementi gestuali» sono ridotti al minimo), piuttosto per sottoporli a una serie di domande tutte esclusivamente basate sulle loro opere (e questo le è permesso spesso da un premio dato o da un festival o da un’occasione che porta in Italia autori che di solito vivono lontano).
Eh sì, perché Borrelli si cimenta solo con autori stranieri, per la gran parte narratori (fa eccezione l’incontro con il poeta caraibico e premio Nobel Derek Walcott); e mi sembra che abbiano la maggioranza gli scrittori di lingua inglese e americana (gli incontri con Don De Lillo, ben sei, possono essere considerati un libro nel libro). M’immagino che Francesca Borrelli legga con la matita in mano e faccia degli schemi, pronta a sbogliare per il suo lettore la trama più complicata e ardita. Si presenta così all’incontro non da giornalista (anche se la prima pubblicazione di questi testi è avvenuta sul «manifesto», il giornale per il quale lavora da sempre e che in epigrafe è definito «una forma di vita»), piuttosto da lettrice agguerrita, esplicitando le sue scelte (anche quando è costretta a dire ad autori come Paul Auster o Ian McEwan che alcuni loro libri l’hanno delusa) e fermandosi su singoli frasi o su passaggi benindividuati.
Si capisce che comparire nel pantheon di Borrelli non è proprio una cosa da poco; pensate che l’incontro con Amélie Nothomb viene definito «la massima approssimazione alla frivolezza che mi fossi concessa».
Accogliere, dunque, nel suo libro ben due incontri con Anna Maria Ortese, infrangendo la regola di parlare solo di autori stranieri, significa dargli un rilievo notevole. Ed è giusto che sia così, anche perché questi due incontri, soprattutto il primo, sono memorabili.
La grande Anna Maria vi compare nella «sua condizione di esiliata», sempre attenta «a non farmi vedere da nessuno», non maestra né di finzione né di alcunché, ma con il dono di un fascino tutto suo, spesso ancorato a un paesaggio metafisico trovato o pescato direttamente nella Realtà. «Amo molto il vento e la pioggia», dice, ricordando con stupore la mutevolezza del cielo napoletano: «Quella tenerezza, quella fantasia, quella leggerezza del cielo napoletano, come da novella orientale, non l’ho più ritrovato».