Recensioni / L'elogio della noia (il mostro delicato) e della malinconia di Savinio

“Fabula picta”, guida alle opere di un pittore singolare
In occasione della mostra di Ruggero Savinio al Forte Malatestiano di Ascoli Piceno, le edizioni Quodlibet pubblicano "Fabula picta", un’indispensabile guida all’opera di questo singolarissimo pittore. Essere singolari è una qualità e un destino. In questo caso, la singolarità di Ruggero Savinio ha una speciale ragione storica e familiare, essendo lui figlio di Alberto Savinio e nipote di Giorgio de Chirico, due fratelli che hanno segnato con la loro eccentricità e centralità l’arte del Novecento.
Il libro (134 pp., 18 euro) contiene un’introduzione di Giorgio Agamben (“Impossibilità e necessità della figura"), un ampio e dottissimo scritto del curatore della mostra Clio Pizzingrilli (“L'arte della pittura”), tre scritti di poetica e autobiografia dello stesso Savinio, 48 tavole a colori delle opere esposte e alcune foto.
Qualunque sia la sua arte, per un artista ci sono diversi modi di essere nel tempo e nella storia. Ruggero Savinio non poteva che saperlo fin dall’inizio. Prima di lui c’erano il padre e lo zio, i quali, anche loro, sapevano che la storia è una Musa e una Furia, ispira e distrugge, va temuta per il suo potere e sfidata per il suo dispotismo. I due fratelli hanno entrambi dipinto accompagnati da questa presenza della tradizione: sono stati moderni contro la modernità, il contrario dell’avanguardia ma adottati dall’avanguardia, prima moderni e ora, si dice, ispiratori della postmodernità.
Ruggero parte da loro. Eppure, come tecnica e risultati, niente lo accomuna a loro. Nella sua pittura "pensosa" non c’è niente di intellettualistico. C’è piuttosto una densa fisicità percettiva da cui l’artista è morbidamente, morbosamente impregnato. Non si distacca, si immerge nell’immagine. È catturato e ammaliato dalla pastosità della memoria nel momento in cui la trasforma in materia visiva. Vi cerca rifugio e conforto, ma continua a lottare con l’impossibilità di possederla. Vuole nello stesso tempo vedere e andare al di là della visione. Vedere con gli occhi e con la mente, vedere nello spazio bidimensionale e percepire l’immagine nella sua durata mentale e storica: dall’ancora informe alla progressiva cancellazione, dalla figura delineata alla figura smarginata, oscurata, invasa e minacciata dall’ombra dell’origine e dal buio in cui il tempo la farò rientrare.
La malinconia di Ruggero Savinio è in questa doppia visione. Temporalità che è in ogni momento presente: è il fu, il non è più, il sarà e il non ancora. È soprattutto l’impossibilità di fissare, dominare visivamente una volta per tutte, immobilizzare l’esperienza visiva.
Scrive nelle prime righe della Nota autobiografica con cui si chiude il libro, che da Saturno, dominante nel suo segno astrologico, "ha ricevuto l’umore malinconico e l’ostinazione". Il primo gli fa contemplare, rammaricato e sgomento, l’inarrestabile instabilità di ogni forma identificata: in senso contrario va l’ostinazione, la tenace lotta contro il tempo che muove ogni lavoro umano.
La pittura di Savinio è anzitutto questo lavoro dentro l’apriori senza nome né forma che è il tempo, per ritrovare e identificare, tra l’essere e lo sparire, forma e nome. È "fabula", cioè storia, ma "picta”, cioè visivamente fissata. È la coabitazione di mobilità e fermezza.
"Una delle cose che il nostro tempo ha reso sempre più rare e difficili" (scrive Savinio) "è la contemplazione calma delle opere d’arte (...) ma devo correggermi. Credo, infatti, che un’opera, se è davvero un’opera d’arte, calma non sia. L’opera ha un’inquietudine che traspare anche attraverso la risoluzione più armonica delle forme, come un sottile fremito, talvolta impercettibile, che la scompiglia, la agita e la inquieta".
Ma credo che sia il discorso di Savinio sulla noia ("mostro delicato" secondo Baudelaire) il centro di questo libro. La noia va coltivata. Introduce al vuoto e al silenzio, da cui soltanto può nascere "un vero interesse per le cose, gratuito, non finalizzato al consumo". È qui il legame fra passività e produttività artistica. La prima fa nascere la seconda. Tutta l’arte del passato (lo credo anch’io) è nata dalla noia, dal silenzio e dal vuoto che oggi abbiamo eliminato.
La modernità si è data all’attivismo e alla volontà anche nelle arti. Ruggero Savinio ha scelto una via diversa: l’umiltà di esprimersi attraverso "la non volontà di esprimersi".