Recensioni / Toti topo senza scopo

Da pittore a poeta
A cent’anni dalla nascita di Scialoja, esce in copia fotografica, fedele all’originale, il primo libretto per le nipoti, Tre per un topo (Quodlibet, € 18), e vengono pubblicati due volumi dedicati alla sua opera poetica e di disegnatore: Alessandro Giammei, Nell’officina del nonsense di Toti Scialoja. Topi, toponimi, tropi cronotopi (Edizioni del Verri, pp. 239, € 23) ed Eloisa Morra, Un allegro fischiettare nelle tenebre. Ritratto di Toti Scialoja (Quodlibet, pp. 231, € 24), mentre è stata ristampata la raccolta delle sue poesie nonsense: Versi del senso perso (Einaudi, pp. 285, € 14,50) nella collana «Rebus» diretta da Stefano Bartezzaghi.
Com’è accaduto che uno stimato pittore e maestro di pittura, si domanda Paolo Mauri nella prefazione al volume, si sia trasformato in poeta? E poi, che tipo di poeta? Toti è il continuatore di una tradizione di nonsense che ha in Lewis Carroll e Edward Lear i suoi esponenti più celebri. Giammei, nel suo saggio, racconta le origini di questo filone poetico, che incrocia in Italia Collodi e il suo Pinocchio. Per quanto amato da bambini e lettori piccini, Scialoja non è però solo, o tanto, un poeta per l’infanzia. Toti, mostra Morra nel suo saggio, rende esplicito un problema che si annida nel nonsense, nel suo senso enigmatico, immediato e insieme difficile.
Come raccontano i due giovani studiosi, in realtà l’artista romano aveva esordito come poeta, poi, dopo un presunto fallimento letterario, s’era dedicato alla pittura, diventando sodale di personaggi come Libero De Libero e Alberto Moravia, muovendosi nell’ambiente artistico romano tra Guttuso e Togliatti, nel momento in cui il realismo impegnato si evolveva verso l’astrattismo. Transitando per la lezione di Picasso, l’arte di quel periodo, fine Anni Quaranta, approda all’informale, poi al pop. Molti degli allievi di Scialoja all’Accademia faranno parte della generazione dei giovani artisti romani, da Pino Pascali a Giosetta Fioroni.

[…] Scialoja evidenzia con i suoi versi il momento culminante in cui l’artista guarda negli occhi le proprie angosce, e subito, con uno scatto fulmineo, supera la crisi creativa. Morra, citando Ugo Mulas, il grande fotografo, parla di «struggenza», ovvero del rischio che l’artista corre sempre di condannarsi al silenzio di fronte all’insostenibilità del reale e alla difficoltà di poterlo rappresentare. Quello di Toti è, come accade per la miglior poesia del Novecento, «un fischiettare nelle tenebre». Altro che versi per bambini. O meglio: solo i bambini li sanno capire, anche se non sempre, per fortuna, sanno dire perché. La poesia come custode sollecito delle nostre angosce.