C'è chi, come lo scrittore e filosofo francese Jean-Christophe Bailly,
paragona l'architettura al linguaggio e la città a le livre ouverte de
la ville, un libro aperto (La phrase urbaine, 2013).
Secondo Bailly la città è un libro che va letto, interpretato, compreso:
le strade sulla piantina di una città sono come parole della lingua e
la sintassi che si va via via scoprendo fa intravedere una struttura.
Altri, come lo scrittore americano Brian Selznick, meglio noto come
autore del romanzo Hugo Cabret (anche film di successo di Martin
Scorsese), nel suo secondo graphic novel, Wonderstruck (in italiano La
stanza delle meraviglie, Mondadori, 2012), propone l'architettura come
modo per dare forma al desiderio, ai sogni e agli affetti: costruire
edifici con pagine di libri che non vuole studiare, per la protagonista
Rose Kincaid, significa mettere mano e avvicinare quel mondo vivace e
dinamico da cui è tenuta a debita distanza, New York. Più tardi
ricostruendo un diorama di questa città tanto agognata, farà di ogni
edificio un nascondiglio di piccoli tesori di famiglia, per una
wunderkammer segreta, un gabinetto delle meraviglie che è anche
un'autobiografia in formato da museo, dall'architettura al libro.
Recuperando e interpretando questa idea complessa di architettura, che
per altro si ritrova in Vitruvio (De Architectura, libro I), frutto
degli apporti di numerosi ambiti disciplinari e di conoscenze relative a
vari campi e tecniche, a Genova Valter Scelsi e Massimiliano Giberti,
insieme a Carlo Alberto Cozzani della Scuola Politecnica (Università di
Genova) hanno ideato e curato la prima edizione del BISFestival - Body
in Space Festival 2015, che si terrà dal 17 al 22 febbraio alla Galleria
d'Arte Moderna di Villa Saluzzo Serra, a Genova Nervi.
E galeotto fu il libro di Massimiliano Giberti, professore associato del
Dipartimento di Scienze dell'Architettura, Compendio di anatomia per
progettisti (Quodlibet, 2014). «La mia colpa - spiega Massimiliano
Giberti - è stata scrivere il libro, la sua (di Valter Scelsi, ndr)
leggerlo e organizzare un evento a partire da questo. Siamo il papà e il
papà di questo festival, che vuole portare gli architetti o aspiranti
tali all'interno di un percorso interdisciplinare per capire se si può
progettare lo spazio esplorandolo con il proprio corpo, tenendo conto
del fatto che il corpo umano è sempre diverso, perché ogni epoca ha
un'idea diversa del corpo». L'architettura dunque riportata al suo
essere arte della complessità, in cui confluiscono tecniche e discipline
per entrare in una dinamica di dialogo con l'essere umano: come
ideazione di spazi di relazione, invece che spazi funzionali.
Il Compendio di anatomia per progettisti è il frutto di un lungo lavoro
di ricerca sulla storia del corpo umano e sugli spazi che abitiamo ogni
giorno, dal Rinascimento a oggi. «Il nostro corpo oggi è altro». Le
nuove tecnologie hanno portato il corpo oltre i suoi confini - per
esempio con la chirurgia a distanza - ma anche con tutti gli strumenti
di interazione virtuale che coinvolgono attivamente il nostro corpo -
per esempio con la Wi o in ambienti virtuali interattivi - ma dentro
spazi vuoti animati da video proiezioni e altri effetti sonori e di
luce.
«In questo nostro primo esperimento abbiamo deciso di coinvolgere 40
studenti e 8 dottorandi della Scuola Politecnica, Dipartimento di
Scienze per l’Architettura, (Università di Genova) che sono abituati a
progettare soprattutto con PC e matita. Ribaltando questa procedura li
portiamo nello spazio e gli chiediamo di vivere una serie di esperienze
fisiche e percettive nuove, non legate alle loro competenze, proprio per
farli stare nello spazio e non lasciare che lo guardino solo con
l'occhio dell'architetto e l'idea di spazio regolato.
Per questo abbiamo invitato esperti di altre discipline come per esempio
Lorenza Codignola, attrice e regista teatrale che, tra le molte altre
attività, attualmente insegna arte scenica al Conservatorio di musica di
Genova Paganini; i video artisti Basmati, duo composto da Saul Saguatti
e Audrey Coïaniz, che lavora su immagini sperimentali, intervenendo in
post-produzione sia su scatti fissi che immagini in movimento; abbiamo
poi un gruppo di interior designer e architetti Alberto Bertagna,
Francesco Librizzi e Alessandro Valenti.
Abbiamo quindi l'arte del teatro, il design di interni e la videoarte
per un percorso che ogni due giorni, a chiusura delle singole
Masterclass, sfocerà in una performance aperta al pubblico dalle 17 alle
18. Sarà il momento in cui i maestri mettono alla prova i loro
allievi». L'appuntamento pomeridiano è per mercoledì 18, venerdì 20 e
domenica 22. La performance live del 22 febbraio prevede il contributo
sonoro di AuSteRo Soundart: Ausonio Calò, sassofoni, clarinetto, flauto;
Stefano Pavarini, tastiere, voce; Roberto Rossi, chitarre, elettronica.
L'intento è mostrare a partecipanti e spettatori «la propria realtà con
occhi diversi. Far vedere uno spazio anche da una prospettiva che
implichi cosa si va a fare in quello spazio, come si agisce e ci si
muove all'interno di esso che è sempre più interessante di quello che
sembra o della mera funzione che svolge in un dato tempo. Siamo infatti
portati a vivere gli spazi architettonici in modo monotematico. Noi
architetti siamo spesso preoccupati di far funzionare la macchina ma per
me ci sono due parole chiave: funzione e uso. Più si riesce a usare in
molti modi una struttura più ci scordiamo della sua funzione. Troppo
spesso si confonde uso e funzione, dando priorità alla seconda ma
dovrebbe essere il contrario. Ormai gli edifici hanno vita molto breve,
non ha più senso progettare scatole funzionali, ma luoghi che possano
essere vissuti in molti modi».
Questo vostro festival non potrebbe diventare una sperimentazione per
dare nuova vita a spazi abbandonati ma di grande metratura e
esteticamente unici o di valore? Penso all'Hennebique o all'ex-facoltà
di Economia e ex-Buridda. «Siamo partiti con una cosa molto piccola e
controllata ma l'intenzione di allargarci ci sarebbe. Ti dirò di più
l'area Miralanza a Genova è uno spazio di grande interesse che sarà
trasformata o demolita ma resta luogo in cui intervenire a un certo
punto. Ce ne sono poi molte altre che avrebbero bisogno di essere
ripensate. È una grossa sfida e siccome le risorse non ci sono più,
forse questo nostro progetto potrebbe rappresentare un'alternativa.
L'Hennebique è uno spazio fantastico, ma c'è anche il quartiere di Forte
Quezzi, o Biscione: lì abbiamo fatto un workshop l'anno scorso,
lavorando in quel magnifico quarto piano coperto e pulitissimo che è sia
immerso nel verde che terrazzo sulla città. Un altro posto sarebbe la
Diga Foranea dove anni fa già il Teatro della Tosse aveva portato una
sua produzione. Da lì si ha una visione della città del tutto inusuale,
unica».
Portare il corpo degli architetti nello spazio, invece che lasciare le
loro mani percorrere linee sulla carta in ultima analisi significa:
«Ricordargli che la priorità non è suddividere lo spazio, ma creare
relazione tra gli elementi. E cosa c'è di più relazionato se non il
corpo umano? Basta con gli specialismi, torniamo
all'interdisciplinarietà e al concetto di relazione».