Recensioni / Paesaggio di guerra

Profili di montagne frantumati. Baraccamenti sulle vette. Mulattiere che li raggiungono arrampicandosi sulle pareti rocciose. La Grande guerra cambiò il mondo, non solo dal punto di vista politico, militare e culturale, ma il mondo in sé: la natura. Alla trasfigurazione del paesaggio come effetto del conflitto europeo è dedicato il convegno organizzato dall'associazione veronese Alba Pratalia domani alla Gran Guardia, a Verona: «Il paesaggio trasfigurato. Luoghi e memorie della Grande guerra».
Fra il 1915 e il 1918, spazi incontaminati furono aggrediti da una pesante militarizzazione e martoriati dalla guerra. Si coglie l'eredità di questo processo nel reticolo di strade carrabili
in alta quota tuttora utilizzate; nei complessi di fortificazioni e strutture militari oggi abbandonati o adibiti a museo; nelle trincee, inghiottite col tempo da prati e genziane, che intrecciano sentieri escursionistici di montagna.
«Analizzeremo tutte le ricadute che l'evento bellico portò sul paesaggio», spiega l'organizzatore Paolo Gazzi, di Alba Pratalia, «ma anche la percezione di quei luoghi trasfigurati che ispirò le arti figurative. La militarizzazione del territorio comportò devastazioni e trasformazioni violente e inusitate dell'ambiente, innestate su architetture che oggi ci ricordano quel periodo: le nostre montagne sono costellate di ossari, monumenti, trincee, caserme e postazioni, fortificazioni, camminamenti e strade». Complessi dal passato centenario che oggi consegnano all'archeologia nuovi ambiti di ricerca, e all'escursionismo percorsi tra storia e natura.
Emblema della militarizzazione dei pascoli montani fu l'Altopiano di Asiago che dopo il bombardamento austriaco del 1916 annuncio della Strafexpedition, la «spedizione punitiva» dell'Austria contro l'Italia si trasformò in una caserma a cielo aperto, dalla quale se ne andavano file dimesse di civili, gli abitanti evacuati, che incrociavano quelle dei militari che salivano. Altrettanto emblematica la strada delle 52 gallerie sul Pasubio, mulattiera costruita nel 1917 dalla 33ma Compagnia del Quinto Reggimento del Genio: sei chilometri scavati nella roccia, pur di rifornire le prime linee con una strada al riparo dai tiri dell'artiglieria nemica. L'aria compressa arrivava nei tubi ai martelli pneumatici da una centrale, azionata con un motore da transatlantico, arrivato apposta dall'America.
Tracce di baraccamenti, reticolati e trincee si trovano anche nel Veronese, dall'Alto Garda al Monte Baldo, fino in Lessinia. Anche la piana di Podestaria, da terra verdeggiante di pastori e malghe, divenne luogo strategico per la difesa dei confini nazionali, qualora gli austriaci avessero sfondato dalla Val d'Adige. Nonostante i combattimenti fossero vicini in linea d'aria, dall'Altissimo al Vicentino, qui non si sparò un colpo. Tuttavia, ci fu un complesso impiego di forze militari, già dall'estate del 1915, quando si decise di attrezzare le alture sopra Bosco Chiesanuova di trincee e postazioni. Per raggiungerle furono fatte nuove strade. Le malghe divennero alloggi per gli ufficiali. Bosco ed Erbezzo ospitarono panifici, lavanderie, laboratori di fabbri, maniscalchi e carpentieri a servizio di circa ventimila soldati e cinquemila operai impiegati nella realizzazione delle opere di difesa dell'altipiano: otto chilometri di trincee, trenta bocche da fuoco, centinaia di postazioni per mitragliatrici, piazzole, scale e gallerie nella roccia, caverne, baracche e camminamenti lungo una linea di confine di 15 chilometri.
Un'immensa opera ingegneristica testimoniata oggi dal complesso difensivo di Malga Pidocchio, riportato di recente alla luce dal gruppo Alpini di Verona, e dalla strada per Podestaria che da Bosco Chiesanuova e da Erbezzo sale a Castelberto, realizzata in 45 giorni dalla decima compagnia della milizia territoriale del Terzo Genio, nell'agosto 1915. Eredità ingegneristica della quale si trova traccia nella letteratura.
«Quante di queste strade di montagna che ora le automobili di lusso, per il piacere di tanti oziosi, percorrono in fretta lasciandosi dietro un'effimera scia d'ammirazioni e d'esclamazioni, sono state costruite da uomini che venivano da patimenti e dai pericoli delle trincee». È la penna di Giani Stuparich, letterato irredentista triestino che col fratello Carlo si arruolò nell'esercito italiano. Nel 1937, in terza pagina sulla «Stampa» pubblicò l'articolo La strada di Podestaria: Carlo, prima di morire al fronte sul monte Cengio nel 1916, aveva seguito i lavori di costruzione della strada di Podestaria. Nel 1937 Giani tornò sui luoghi che il fratello gli aveva descritto nelle sue lettere, sottolineando la tranquillità, quasi alienante, di quegli spazi lontani dai tumulti della guerra che pure si sentivano a distanza.  Sul legame dei fratelli Stuparich con Verona e Podestaria, proprio Alba Pratalia ha dedicato un volume una decina di anni fa, a cura di Giuseppe Sandrini, presidente dell'associazione e docente di letteratura all'università di Verona: La strada di Podestaria. Tema ripreso quest'anno con Giani Stuparich, Guerra del ‘15 sempre di Sandrini.