Recensioni / Il libro che ha scoperto il paesaggio indeciso

Quartieri abbandonati e zone industriali dismesse proprio come la Goccia - ma anche argini incolti, aiuole ai margini delle strade dove la natura si riappropria dello spazio. Come racchiudere tutte queste eterogenee porzioni di mondo in un termine che le definisca e dia loro dignità di luogo? Ci ha pensato un ingegnere paesaggista francese piuttosto eccentrico, Gilles Clément, che per primo ha utilizzato il termine di «Terzo paesaggio». Nel suo godibilissimo «Manifesto del Terzo paesaggio», edito dalla Quodlibet nel 2005, il visionario Clément teorizza una nuova dimensione del nostro spazio: non area antropizzata come le città, ma neanche paesaggio di natura primigenia, non luce e non ombra, luogo dimenticato dove crescono liberamente rovi e sterpaglie. Spesso questo sono zone che i biologi definiscono ecotonali, cioè fasce di confine che sommano le biodiversità dei diversi ambienti limitrofi. Il libriccino di Clément procede per aforismi e puntualizzazioni dal tono assertivo inframmezzati da leggeri schizzi a china. «Il carattere indeciso del Terzo paesaggio corrisponde a un'evoluzione lasciata all'insieme degli esseri biologici che compongono il territorio, in assenza di ogni decisione umana». Il terzo paesaggio è spesso frutto di un'indecisione dell'uomo. Sono luoghi residuali e temporanei in attesa di destinazione, come l'area dell'ex gasometro di Milano. Dice Clément: «Il terzo paesaggio può essere visto come la parte del nostro spazio di vita affidato all'inconscio. Profondità dove gli eventi si accumulano e si manifestano in modo, almeno all'apparenza, incerto».

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