Recensioni / Le fiabe dei fratelli Grimm interpretate da Ruggero Savinio

È stata inaugurata sabato al Forte Malatestiano di Ascoli, dove proseguirà fino al 3 maggio, la mostra intitolata "Fabula picta". Curata da Clio Pizzingrilli propone cinquantuno olii e disegni dell`artista Ruggero Savinio (Torino, 1934). «"Fabula picta" spiega il curatore - prende il nome da una sequenza di opere sulle fiabe dei fratelli Grimm, nelle quali Savinio ha visitato il fabulosum, la parola magica, onirica, leggendaria con un tono lieve e divertito». A completare la mostra anche paesaggi, riletture della pittura antica, ritratti, interni e alcuni grandi disegni. Nipote di Giorgio De Chirico e figlio di Alberto Savinio, Ruggero Savinio ha firmato nel 1956, insieme ad altri due colleghi, la sua prima mostra a Roma, presentata da Giuseppe Ungaretti. A Milano la prima mostra personale alla Galleria delle Ore nel 1962, anno a partire dal quale, e fino 1968, soggiorna lungamente a Parigi. Tornato in Italia, si trasferisce a Milano e lavora con la Galleria Bergamini e poi con la Galleria Philippe Daverio. Nel 1989 si stabilisce a Roma. Numerose le sue mostre in Italia e all'estero. Tra le altre importanti note biografiche, va ricordato che nel 1986 gli è stato attribuito il Premio Guggenheim per un artista italiano, nel 1988 e nel 1995 è stato invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia, nel 1993 ha dipinto lo stendardo per il Palio di Siena e nel 1995 è stato nominato Accademico di San Luca. Significativa è anche la sua produzione letteraria.

Il catalogo della mostra è pubblicato dalla casa editrice maceratese Quodlibet e contiene testi del filosofo Giorgio Agamben, di Clio Pizzingriili, due scritti di Ruggero Savinio e la riproduzione delle opere in mostra. A proposito dello scritto di Agamben, si intitola "Impossibilità e necessità della figura" ed esplora il territorio fornendo un'immagine acutissima del contemporaneo e dell'artista in mostra. «L'arte contemporanea – scrive il filosofo in chiusura del suo saggio – è nata dal gesto quasi filologico con cui Duchamp, revocando radicalmente in questione lo spazio dell'estetica e del museo, invitava gli artisti a un confronto decisivo con la storia dell'arte. In quanto si è misurato fino all'estremo con l'intimo diverbio fra tempo e figura, fra immagine e storia, Savinio ha affrontato il problema che l'arte contemporanea ha costantemente eluso: quello dell'impossibilità e della
necessità della figura nel nostro tempo. A questo pittore è toccato in sorte di essere, per questo, il più contemporaneo fra i contemporanei». E di sé, invece, nelle pagine di "Noia", Savinio dice: «Se la modernità è uso di linguaggi e tecniche nuove, inusitate, e spesso, invece, comuni alle pratiche tecniche, allora io devo dire di non avere niente in comune con la modernità. Mi sento giustificato a collocarmi in un luogo temporale a parte, fuori dello sviluppo storico, ma, anzi, che contiene in sé tutti i momenti della storia dell'arte».