Recensioni / Raffinate strategie di un gioco balordo

L'anno della prima pubblicazione di questo trattato, il 1969, fa pensare che i molti riferimenti e le molte espressioni letterarie sono fortemente legate alle idee e alle innovazioni introdotte dalla contestazione studentesca a Parigi. Oggi Perec, Lusson e Roubaud, a quell'epoca giovani cultori della matematica e della letteratura, sono ben noti per i loro contributi allo studio delle reciproche influenze tra le due discipline, essendo stati tra i sostenitori delle ricerche dellOuLiPo, sigla del gruppo Ouvroir de Littérature Potentielle, il cui obiettivo principale era proprio quello di mettere a disposizione dei letterati nuove forme e strutture. Il go è un gioco antico e affascinante le cui origini leggendarie risalgono a oltre quattromila anni fa quando nacque in Cina; e solo molto tempo dopo fece il suo ingresso in Giappone. Solo recentemente è apparso in Europa e i nostri tre autori contribuirono al suo diffondersi in Francia (quando in Italia ancora non se ne parlava), istruiti dal matematico Claude Chevalley. Devo dire che, prima di leggere questo trattato, la mia conoscenza del go si riduceva al fatto che si trattava di un gioco simile agli scacchi; d'altra parte, anche del gioco degli scacchi ho solo qualche rudimento. Perec, Lusson e Roubaud si servono di un intero paragrafo per spiegare il loro pensiero sul confronto tra i due giochi, pensiero che si può riassumere così: il go è un "gioco balordo", è "l'anti-scacchi". L'affermazione è supportata da una serie di motivi che inducono gli autori a disprezzare gli scacchi: un gioco feudale, di dubbia antichità che contempla solo tre risultati possibili: vittoria, sconfitta o pareggio senza la possibilità di valutare i giocatori attraverso un punteggio, cosa che invece fa il go. Il libro di Perec, Lusson, Roubaud (come spiegano la nota del curatore Martina Cardelli e la postfazione di Tiziana Zita) rispecchia palesemente gli interessi degli autori: nell'organizzazione metodica del materiale e nell'abbondanza di diagrammi esplicativi si riconosce la loro familiarità con la matematica; la presenza di frequenti riferimenti ad altri spazi culturali e lo stile adottato nell'esposizione rivelano la passione per la letteratura. Il paragrafo dedicato alla diffusione del gioco in occidente si traduce in una vera e propria esaltazione: mistero, emozione, fascinazione, la bellezza dello spazio inerte che si stende sul goban (tavola del gioco) dove si affrontano gli avversari.

Come ci si poteva aspettare, vengono spesso richiamate la relazione tra l'arte militare e il go e le implicazioni che da esso possono nascere sui campi di battaglia. È forse l'atmosfera del '68 che suggerisce ai tre autori francesi di citare due battaglie avvenute nella ex Indocina: la sconfitta francese a Dien Bien Phu e quella statunitense a Hué. L'ultimo capitolo intitolato Il gioco. Tattiche e strategie è dedicato proprio a questo genere di riflessioni, con numerosi esempi di tattiche in diverse situazioni locali e con un elenco di illustrazioni di azioni strategiche, dove inevitabilmente predomina la terminologia militare. Il lettore che vuole avvicinarsi al go deve armarsi di una certa dose di pazienza nello studio di regole, definizioni, strategie, ma sarà confortato dal comodo glossario e soprattutto dalla impostazione goliardica del testo, che nel terzo capitolo intitolato Saturazione si traduce in una serie di giochi di parole come, per esempio, la citazione di GlasGOw come luogo dove giocare il go. Chi ha letto il libro con attenzione e passione cercherà sicuramente di comprare o costruirsi un goban e incominciare a giocare, incoraggiato dalla citazione di un passo del grande giocatore Taka: "Se due avversari intendono lottare per la dominazione dell'intera partita, è durante il Fuseki (inizio di partita) che troveranno le migliori opportunità per i grandi piani e le raffinate strategie. Ci troviamo in un regno che trascende l'abilità ad analizzare questa o quella situazione locale. È il regno dell'intuizione."