Recensioni / Viaggio al centro delle differenze

«Globalizzazione e identità», analisi e letture nell'ultimo numero della rivista « L'ospite ingrato».

Si intitola Globalizzazione e identità un corposo volu­me, il n. 3 della rivista «L'ospite ingrato», pubblicazio­ne annuale del Centro Studi Franco Fortini di Siena (Quodlibet, pp. 349, £. 42.000). Un lavoro importante - già segnalato, nel suo versante più letterario, su que­ste pagine da Massimo Raffaeli -, denso di contributi diversi, che nella prima parte, quella dedicata al tema, attualissimo, della globalizzazione, raccoglie saggi, in­terviste, poesie inedite di studiosi provenienti da di­scipline diverse e da diverse aree del mondo - da Edoarda Masi a Romano Luperini, da Alessandro Portelli a Franco Loi, da Antonio Melis a Noam Chomsky; la seconda, quella dedicata alla parola di e su Franco Fortini, raccoglie materiali come lettere d'archivio, una antologia di scritti di Fortini stesso, fo­to di pagine scelte, e una sezione di «discussioni».
Il volume, uscito da poco, porta in copertina la data del 2000, ma i testi che lo compongono vengono da una riflessione ancora più lontana e visibilmente sedi­mentata nel tempo. Questo per sottolineare il fatto che il tutto nasce in tempi non sospetti e non sotto la spinta emotiva di quanto sta accadendo da noi in questi giorni all'approssimarsi del G8, e per ciò stesso ancora più utile per approfondirne ad ampio raggio risvolti e connessioni. Alla frenesia dei media che pre­sentano la globalizzazione come un evento improvvi­so, una sorta di inaspettato terremoto; un evento me­diatico, per l'appunto, destinato ad accendersi di at­tenzione in un rapido arco di tempo, e poi - auspica­bilmente - svanire, riassorbito dalla scia di fragore e scompiglio che ci si immagina l'evento porti con sé, fa da contraltare la riflessione da anni in corso dei paesi che un tempo erano ritenute le periferie del mondo; scrittori creativi ed economisti, poeti e biologi, lingui­sti e geografi, tutti parte di un progetto comune che in ogni modo tentano di far conoscere all'altra parte del mondo, quella che tutti ci governa. Nessuna improv­visazione dunque, in un fenomeno su cui in molti ri­flettono da tempo, per affrontare il quale occorrono strumenti del tutto nuovi e di natura diversa e corre­lata, come testimoniano queste pagine. Infatti «La raffigurazione della globalizzazione come un evento eccezionale, proprio esclusivamente dell'epoca attua­le, avalla le operazioni interessate di rimozione della memoria storica, o addirittura della sua distruzione», scrive Giuseppe Nava in una lucida introduzione al volume; «se siamo di fronte a una situazione comple­tamente nuova, senza nessun precedente o rapporto con il passato, non possiamo più usare gli strumenti di comprensione elaborati nel corso dei secoli, e di conseguenza non abbiamo altra scelta che la supina accettazione o il rifiuto impotente». E per non cadere nella trappola rappresentata da ciascuno dei due estremi, esaltazione o demonizzazione di un fenome­no così complesso e ampio, a torto presentato come un tentativo di unificazione del mondo, essendone in realtà l'esatto contrario, va contrapposto un impegno di analisi culturale che parte dalle realtà delle diverse aree del pianeta, a cominciare delle più lontane dal­1'arbitrario e simbolico centro che noi crediamo di abitare; e che vanno conosciute, ma prima di tutto, vi­ste davvero, e insieme ascoltate. Come faceva in anni lontani Franco Fortini, il quale già alla fine degli anni '60, riflettendo sul rapporto colonizzatore/colonizza­to, individuava una interdipendenza culturale nello scambio tra culture, quando scriveva che «l’Occidente rivoluzionario, ove esista, sa che se vuole rivelare fino in fondo i caratteri di classe della propria tradizione culturale e sormontarli.., può farlo solo commisuran­dola con la sua impresa maggiore: l’assoggettamento coloniale o semicoloniale del resto del mondo (e delle proprie medesime classi oppresse)», citazione che compare in un altro volume di interviste con Fortini, Le rose dell’abisso, (Bollati Boringhieri, 2000) curato da Donatello Santarone, uno degli studiosi presenti anche in Globalizzazione e identità, il quale coglie in Fortini proprio questa attenzione ai fenomeni di mul­ticulturalità, dei quali solo rari, lungimiranti intellet­tuali - penso qui, fra tutti, al Pasolini poeta e al Mora­via dei tanti scritti africani - sembravano in quegli anni volersi occupare.
È in quegli anni che in uno dei tanti viaggi in Africa Moravia va a cercare e a conoscere uno scrittore del quale in Europa nessuno sapeva niente, quel Ngugi wa Thiong'o, che di lì a breve sarebbe finito in prigio­ne poi in esilio per aver voluto scrivere nella propria lingua madre, il kikuyu. Esilio dal quale ci avrebbe consegnato molti saggi anticipatori di quanto sta oggi accadendo sotto i nostri occhi, compreso quel Sposta­re il centro del mondo, (Meltemi, 2000) che, tradotto in italiano, è valso al suo autore l'edizione 2000 del prestigioso premio letterario Nonino.