Recensioni / Tessiture dello spazio

Il nuovo libro di Federico Bilò, Tessiture dello Spazio – tre progetti di Giancarlo De Carlo del 1961 (Quodlibet), focalizza un aspetto nodale nella ricerca dell’architetto genovese: lo spazio a misura d’uomo, centrale anche quando opera nella dimensione professionale. «Lo spazio è articolato in vere e proprie tessiture, definite da attività e usi, da dimensioni e materie, da luce e sequenze. Tali tessiture non sono stabili, ma soggette a un constante lavorio di modificazione, che costituisce l’evoluzione dei luoghi e dei gruppi sociali nel tempo».
Analizzando i progetti di due colonie marine (a Riccione e Marina di Classe) e di un residence estivo per i dipendenti ATM a Bordighera, l’autore mette in evidenza le modalità con cui De Carlo declina il tema dell’abitare collettivo, affrontato in più occasioni, e i “suoi molteplici risvolti sociali e spaziali, che verrà poi sviluppata attraverso la più nota sequenza dei collegi di Urbino”. Simili per le relazioni paesaggistiche e con i waterfront, omogenei nei programmi funzionali e nelle dimensioni, questi tre progetti sono stati disegnati sostanzialmente in contemporanea nel 1961 e costituiscono un piccolo ma riconoscibile corpus nell’ambito della sua produzione.
Sono gli anni in cui  De Carlo manifesta più marcatamente il suo ripensamento critico verso i dettami razionalisti più dogmatici, rifiutando l’ascetismo minimalista e il rigorismo cartesiano; una riflessione profonda che è stata erroneamente scambiata come un suo abbandono della modernità. Rifiuta, viceversa, l’idea dell’architettura come pura astrazione concettuale, l’autonomia disciplinare, i formalistici esercizi di stile. In quegli anni aderisce al Team X, sceglie di tener conto delle esigenze psicologiche degli utenti, costruendo un funzionalismo pragmatico e aperto al processo partecipativo. De Carlo finalizza l’esperienza progettuale verso l’“autenticità sociale dell’architettura” e non a caso nel libro si pone l’attenzione sul registro antropologico.
Federico Bilò analizza opere per piccoli centri ma risultano strettamente riferibili a un contesto di confronto europeo e, segnatamente, alla coeva esperienza di Aldo van Eyck e degli Smithson. Anche De Carlo lavora sulla stretta relazione tra metodologia, teoria e sensibilità poetica, coniugando complessità spaziale, forma come sviluppo aperto, qualificazione dell’ambiente costruito. Simili nella logica compositiva e negli impianti planimetrici i tre progetti presentano, infatti, volumetrie scomposte in unità morfologico-funzionali distinte, sfalzate, gradonate e aggregate a U, con bracci aperti verso il mare che partono da un nucleo centrale comune. L’articolazione dell’edificio consente di svolgere le attività in modo diversificato: collettivo, per piccoli gruppi o individuali, all’interno o all’esterno. I volumi interni presentano differenti altezze, giaciture su quote diverse e in continuità con gli spazi aperti (patii, logge, portici, terrazze panoramiche, giardini). L’architettura, al centro tra uomo e ambiente, per De Carlo definisce, quindi, il grado di trasformabilità concreta del luogo, rappresenta le diverse possibilità combinatorie, invera la misura non mimetica del possibile inserimento nel contesto. In tutte e tre le opere De Carlo crea luoghi d’identità, reinventando il rapporto con il paesaggio, o meglio con il territorio, come era solito precisare: “Credo che il territorio sia l’universo entro il quale ogni evento spaziale consiste e si rivela. Il territorio è matrice di ogni cosa”.
Il libro è utile anche per riflettere sulle possibilità di riconversione delle due strutture (la colonia di Ravenna, la più interessante, non è stata realizzata) in ragione dell’attuale scarsa attrattività delle tipologie residenziali collettive e per la complessità della rifunzionalizzazione; anche perché la colonia SIP-ENEL di Riccione è in forte degrado ed è a rischio demolizione.