Recensioni / Dei cialtroni di fronte a Stuparich

E’ devastante leggere Giani Stuparich (“Guerra del ’15”, Quodlibet) nei giorni del processo a Erri De Luca. E’ devastante per Erri De Luca. Sono entrambi animati dall’ideologia e non dirò che il nazionalismo dell’uno sia meno pericoloso dell’antagonismo dell’altro, dirò che il triestino è forse più bravo a scrivere del napoletano, usando un italiano asciutto ma non rachitico, ed è certo più bravo (molto più bravo) nel testimoniare la letteratura con la vita. Stuparich dopo avere scritto a favore della guerra, sulle riviste interventiste, coerentemente si arruola volontario e al fronte combatte da umile fante a ogni assalto rischiando la morte per pallottola o per forca (essendo cittadino austro-ungarico se catturato e riconosciuto verrebbe giudicato traditore). Sull’altopiano di Asiago si merita la medaglia d’oro e la motivazione fa ancora accapponare la pelle. Io credo che De Luca abbia il diritto all’ambiguità letteraria, allo scrivere a vanvera, all’armiamoci e partite, ed è un diritto da riconoscere a tutti i letterati, a tutti gli artisti. L’importante è che questo privilegio non impedisca di vedere che davanti a uno Stuparich noi scrittori odierni siamo innanzitutto dei cialtroni. E i lettori che preferiscono i libri del tribuno dei diritti a quelli dell’eroe del dovere? Cialtroni pure loro. Lo dicevo che la lettura di “Guerra del ’15” è devastante. Che poi non è mica un reato essere cialtroni, è sufficiente vergognarsene un po’.