Recensioni / La Roma perduta

La Roma perduta

Le memorie e le corrispondenze di Ingeborg Bachmann

Resta una città nata sbagliata condannata alla rovina
Alla collana dei grandi stranieri che hanno scritto su Roma aggiungiamo oggi un'altra gemma. Una austriaca. L'Austria, con la sua capitale Vienna, è terra di struggenti nostalgie, e le pagine della austriaca (ma non viennese) lngeborg Bachmann grondano, appunto, di struggente nostalgia. Nostalgia di quello che nella città da lei scelta quasi casualmente per vivervi (e ‑ purtroppo ‑ per morirvi) aveva visto e udito' ma che già le appariva lontano, volatile, sfuggente. Per ritrovare le atmosfere evocate dalla poetessa si sfoglino le "Ceneri di Gramsci". Anche il poemetto di Pasolini è immerso in una simile, dolente atmosfera di amore e morte, nel presentimento che le cose, le figure, i luoghi (straordinario, il richiamo del cimitero dei protestanti, per l'una come per l'altro scrittore) stiano per scomparire, travolti dalla guerra impari del tempo: anzi, del presente senza tempo. I due vissero quegli stessi anni lontani, Gerenza e si sente. Nelle dieci paginette, che danno il titolo al libro, la Roma della Bachmann ci viene però incontro viva e vitale, con le fioraie e la puzza di pesce al mercato di Campo dei Fiori, le acque del Tevere "verde argilla e biondo", il cielo "di ermellino", il "broccato nero" delle case patrizie, la luna su Fontana di Trevi, il caldo scirocco che "sparge sabbia rossa sulla città infiacchita", la cupola di San Pietro che sembra più piccola del reale "e tuttavia è troppo grande". Ogni riga ha un tocco surrealista leggero e vagante, esprime un amore infinito. Non stupisca: la Bachmann ammette, lei stessa stupita, di sognare, ormai, in italiano. "Mi tagli un chilo di carne", confessò di poterlo dire solo in questa lingua. Roma è sempre stata la città dello struggimento e della malinconia. Per Goethe era la malinconia della campagna deserta, per Gibbon la malinconia della "decadenza", dell'impossibilità del raccordo tra il presente e la grandezza del passato. In Chateaubriand avvertiamo il senso amaro del sublime contemplato dai poggi di S. Onofrio. La Bachmann sa penetrare lo struggimento e la malinconia del quotidiano, nel suo apparire ora sordido ora trionfante come un cielo azzurro sopra i sette colli. Ma a che serve, ormai, inseguire i sentimenti della poetessa? La sua Roma non c'è più, come non c'è più quella di Goethe e di Chateaubriand: perfino le pietre oggi, a Roma, sono senza tempo, il nobile travertino è stato lavato, insaponato, riverniciato. L'orrore del presente senza tempo ha definitivamente liquidato il sentimento del tempo. I turisti non amano la malinconia.Che pazzi mai siamo noi, ad aver accettato lo scempio. Ci viene da chiederci se gli amministratori, i pianificatori, gli urbanisti che si affaccendano attorno a ciò che resta di Roma abbiano letto o vogliano leggere queste pagine. Pensiamo di no, che non le conoscano né vogliano conoscerle: un assessore regionale ha chiesto, impunito, che le sfilate di moda vengano fatte tra i ruderi, le pietre e i marmi residui. In fondo, non hanno nemmeno tutte le colpe. Hanno ereditato una città nata sbagliata, già condannata alla rovina da una conquista maldestra, come ammonì il parigino Haussman quando consigliò a Quintino Sella di non  

toccare i quartieri papalini e di edificare i nuovi a fianco di quelli, pena la loro distruzione: che altro possono fare, se non continuare a distruggerli? Ci lascino però l'assurdo piacere di leggere queste pagine di malinconia, il dono che gli dei lasciano, ultimo privilegio, agli sconfitti.

Leggeremo con gran diletto anche l'altra e più spessa parte del libro, i reportages che la Bachmann dettò come corrispondente dall'Italia per la radio di Brema o per giornali tedeschi. Sono il commento ficcante a eventi sempre importanti. Ritroveremo qui lo scandalo Montesi, la firma dei Trattati di Parigi o la nascita della Fiat "cinquecento', l'elezione di Gronchi e la rabbia dell'ambasciatrice USA Claire Booth Luce, il presidente del consiglio Scelba e le mene di Mcndès France. Grande e autorevole giornalista, oltreché grande scrittrice, la Bachmann così felicemente restituitaci.