Ci sono dei libri oramai perduti che fa un gran piacere rileggere.
Questo è il caso di Guerra del ‘15 di Giani Stuparich, uno degli ultimi
intellettuali della cultura triestina, ristampato da Quodlibet nella
collana “In ottavo grande”. La genesi di “Guerra del ‘15”, che in
occasione del Centenario della Grande guerra diventa strumento notevole,
è stata lunga e complessa: tanto ben descritta da Giuseppe Sandrini nel
saggio a conclusione del volume: “Giani Stuparich: poesia e verità di
un ‘semplice gregario’”. All’origine, “un taccuino tutto sporco di rosso
terriccio del Carso”; di quel luogo dove Stuparich combatté come
Sottotenente del 1° reggimento dei Granatieri di Sardegna, insieme al
fratello Carlo.
“Guerra del ‘15” è un documento prezioso, per cercare di capire quella
guerra che tanto ha significato per l’Italia e per intere generazioni di
ragazzi entusiasti di un ideale. Dagli appunti di quel taccuino,
Stuparich ha rielaborato le pagine di questo diario, pubblicato in una
prima versione nel 1931. La guerra è fatta di appunti, di annotazioni,
spesso in situazioni di emergenza (come le poesie di Ungaretti). È fatta
di brevi e fulminanti considerazioni, spesso acquisite sotto il tiro
delle granate o nei momenti di disfatta stanchezza. Quello che leggiamo,
è un testo ovviamente riveduto e manipolato, ma ciò non lo priva della
sua freschezza di testo diaristico, di narrazione intima e
disperatamente autobiografica.
Sono frammenti di immagini, quelli che popolano “Guerra del ‘15”,
schegge di ricordi che tessono una trama ancora più intensa e massiccia.
La grande aggettivazione, l’accumulo sinonimico, il periodare breve
brevissimo rendono un’immagine vivida, intensa, robusta del ricordo. È
un diario che continuamente, ostinatamente (senza rassegnazione, però),
ci parla di come la guerra cambia il mondo, peggiorandolo: “Le prime
volte odoravano di pino tagliato di fresco, ora sanno, ogni volta di
più, di marciume”). La natura viene descritta nel particolare,
soffermandosi sulla sua bellezza, che spesso fa da contraltare alla
furiosa devastazione prodotta dalla guerra o che viene distrutta e
sterminata dalla barbara violenza della guerra stessa: un rapporto
stretto e complesso, dunque, al quale il poeta-soldato non riesce ad
abituarsi. La guerra è un meccanismo crudele, persino inspiegabile in
certi elementi, è un abbrutimento umano dove ricompaiono i desideri dei
bisogni più primari, a cominciare da quello del pulito. Tutto questo
Stuparich ce lo racconta con uno stile perfetto, cesellato; l’italiano è
elegante e ricercato (ma non artefatto né adulterato). Non c’è la
fretta del diario, in questi appunti, ma c’è la naturalezza del racconto
appassionato.
Quella della guerra del ’15 è stata senza dubbio una delle esperienze
più impattanti della storia moderna dell’Italia, e dei ragazzi che si
sono trovati a combattere tra trincee e montagne impervie per un’ideale
che chissà quanto era stato compreso veramente. Giani Stuparich, con la
sua testimonianza, ci prova che evidentemente l’ideale non sempre basta;
e che, in definitiva, la guerra è soltanto un massacro.