Il primo viaggio è un disastro. Gli alberghi sporchi, la guida locale
scorbutica e infida, addirittura il pullman che si blocca in pieno
deserto. Lì per lì Pavel non ha dubbi: mai più nel Sahara, ne ha avuto
abbastanza. Niente di quello che ha visto assomiglia, neppure
lontanamente, alle immagini di dune che ha appeso alle pareti del suo
appartamento, in una remota cittadina della Repubblica ceca. Il suo
interesse per quei paesaggi, in realtà, è iniziato un po' prima, dalla
quarta di copertina di un libro che gli ha rivelato l'esistenza di una
singolare associazione, gli "Amici del deserto". Gente ospitale solo
all'apparenza, dato che il loro principale compito consiste nello
scoraggiare gli eventuali nuovi iscritti. Anzi, no, il termine è
sbagliato, perché agli Amici non ci si iscrive, dagli Amici si viene
semmai accettati. Anche con il deserto funziona così. Non lo si sceglie.
Piuttosto, quando va bene, se ne viene scelti.
Forse l'avete già intuito, ma è quello che capiterà a Pavel. Tornato a
casa, avverte una nostalgia prepotente per ciò che ancora non ha visto,
un sentimento irrazionale e indiscutibile che lo spinge a intraprendere
un secondo viaggio. Ed è questo punto, dopo aver rischiato di morire
soffocato in una tempesta di sabbia, che capisce di essere stato scelto.
Strano libro, affascinante libro
L'amico del deserto di Pablo d'Ors, magnificamente tradotto da Marino
Magliani per Quodlibet, la casa editrice che nel 2010 aveva proposto un
altro romanzo del sacerdote e scrittore spagnolo, Avventure dello
stampatore Zolilnger.
Designato da papa Francesco come consultore del Pontificio Consiglio
della Cultura, D'Ors è un narratore estroso e programmaticamente
irregolare, come dimostravano anche i racconti del Debutto, pubblicati
nel 2012 da Aìsara, coraggiosa sigla sarda di cui, purtroppo, si sono
perse le tracce. Pochi mesi fa è stata invece Vita e Pensiero a portare
in libreria quello che, ora come ora, è il più fortunato trai titoli di d'Ors, Biografia del silenzio. Un testo di genere indefinibile, ancora
una volta, nato dall'esperienza di meditazione che l'autore conduce da
anni anche all'interno dell'associazione da lui fondata. Gli Amici del
deserto, esatto.
Anche quella di Pavel e della sua vocazione da eremita è del resto una
storia di specchi, nella quale la figura di Charles de Foucauld
(1858-1916) affiora a più riprese, non per i dati della sua biografia
materiale, che rimane soltanto allusa, quanto per la sostanza di una
chiamata al deserto e quindi alla solitudine, al silenzio che assume
carattere universale. Senza accorgersene Pavel ripercorre la geografia del martire dei tuareg, finendo per vivere
a Béni Abbès, il villaggio ai confini del Marocco dove padre Charles
stabilì il suo romitorio. Pavel passa il tempo a disegnare i segni che
le dune incidono nella sabbia, mentre la sua stessa grafia tende a
dilatarsi nello spazio, di modo che una sola parola viene a occupare una
riga intera. «C'era un tale silenzio annota
che, se ci fosse un Dio, sono sicuro che avrebbe stabilito lì il suo
domicilio». Pavel non crede. Non ancora, forse. Il deserto per lui è
continua attesa, possibilità infinita, punto di equilibrio fra
rivelazione e contemplazione. «Ora capisco che la perdita è la
condizione dell'amore», annota Pavel nella sua quieta confessione. E
l'amore non si sceglie. Dall'amore si viene scelti.