Il prossimo 27 aprile il “Foglio spinoziano” compirà 15 anni. È l'organo
ufficiale dell'associazione degli amici del filosofo. Offre spazi per
discussioni, opere in versione digitale (con ipertesti), un blog.
Spinoza, vissuto tra il 1632 e il 1677, ormai è noto anche a persone
lontane dalla filosofia. Nel 1994 fu posto il suo nome a un asteroide.
Un cantante come Vasco Rossi lo ha citato all'inizio di un suo concerto
con queste parole: «Spinoza diceva che chi detiene il potere ha bisogno
che le persone siano affette da tristezza. Noi invece portiamo un po' di
gioia». Non commenteremo né la frase né la fonte, il “Trattato
Teologico-Politico”, aggiungiamo semplicemente che il filosofo in
questione fa tendenza: è evocato da specialisti e profani, da giovani e
attempati, vanta - oltre quanto ricordato - circoli di lettura e
convegni in centri buddisti oltre che nelle università.
Innumerevoli le edizioni delle sue opere in italiano e gli studi che lo
riguardano. Per limitarci soltanto alle ultime novità diremo che è
uscito in questi giorni, nella serie “I pensatori” di Carocci, un
aggiornatissimo e pregevole profilo intitolato “Spinoza” di Lorenzo
Vinciguerra; Castelvecchi, con il medesimo titolo, ha riproposto il
classico studio di Karl Jaspers. La stessa editrice Castelvecchi ha
rimesso in circolazione l'”Etica” di Spinoza curata da Piero Martinetti,
mentre Quodlibet ha pubblicato un libro prezioso: si tratta de “Le vite
di Spinoza” di Johannes Colerus e Jean-Maximilien Lucas, scritte pochi
anni dopo la sua morte. Di più: in questo volume di Quodlibet si trova
un'appendice di Patrizia Pozzi in cui è ricostruita la biblioteca del
pensatore secondo l'inventario notarile del 2 marzo 1677. Non sono che
esempi di una fortuna che si accresce ogni giorno.
Eppure Spinoza, che visse facendo tra l'altro il tornitore di lenti, fu
scomunicato dalla comunità ebraica e in seguito ne fu perseguitata la
memoria. Max Weinreich, nel saggio “Hitler's Professors (Yale University
Press 1999), riporta un giudizio di Hans Alfred Grunsky, docente di
filosofia a Monaco e primo lettore nell'Ufficio di Rosenberg: «Era un
mercante ebreo al pari dei suoi compagni di razza, che si spacciava per
pensatore mistico teutonico, pensando di creare una nuova Torah che
avrebbe ridotto tutte le nazioni sotto la legge del Talmud». I libri di
Spinoza finirono nei roghi nazisti, insieme a quelli di Marx, Freud,
Einstein, Heine eccetera.
In Italia, anche se Giovanni Gentile (vicino a Mussolini) aveva curato
un'edizione dell'”Etica” pubblicata da Laterza, dopo le leggi razziali
del 1938 cominciarono gli attacchi a Spinoza. Ne “La difesa della razza”
del 5 marzo 1939 un articolo di S. Perticone descrive come fu celebrata
la maledizione del filosofo, mentre su “La Vita Italiana” (la vera
rivista razzista, giacché l'altra aveva carattere da rotocalco) nel
fascicolo del giugno 1942, sotto il titolo “Questo è avvenuto
all'Università di Milano”, rivelava un dibattito apertosi su Spinoza e
nel numero di agosto di quel 1942 ne riportava i testi. Cos'era
accaduto? Il 9 maggio un professore, Siro Contri, tenne nell'ateneo
meneghino la prima lezione “Pervertimenti giudaici della filosofia:
Spinoza” per un corso indetto dal “Centro milanese per lo studio del
problema ebraico”. Otto giorni dopo, mentre gli iscritti attendevano la
seconda lezione, arrivò Giovanni E. Bariè, “fiduciario dei professori
milanesi dell'Università” e docente di filosofia morale, il quale
consegnò ai presenti una dichiarazione in difesa di Spinoza, “così
profondo pensatore e così nobile spirito”. “Il Fascio” del 23 maggio
precisava il “pensiero ebraico corrosivo” di questo autore. La polemica
continuò. Sino all'autunno.