Recensioni / Un catalogo non-catalogo di una mostra di Ruggero Savinio è anche occasione per capire come pensa oggi un partigiano del pennello

C'è chi dipinge per darsi un tono. Chi lo fa perché è più facile vendere un quadro, magari un quadretto, che un'opera invisibile o un'installazione che occupa un hangar. C'è invece chi dipinge perché non può fare altro, perché è quasi una condanna, ed è il caso di Ruggero Savinio. Non solo figlio d'arte (Alberto Savinio), ma anche nipote d'arte (Giorgio De Chirico). Una iattura alla seconda. Che però Savinio Junior ha saputo gestire egregiamente.
Il libro accompagna la mostra ad Ascoli Piceno, in chiusura il 3 maggio, incentrata su alcuni nuovi lavori dell'artista ispirati alle fiabe dei Grimm, ma è un catalogo non-catalogo: si pone piuttosto come un manualetto sul senso della pittura, e soprattutto della pittura di figura, oggi. Dove "oggi” copre in realtà una buona parte del XX secolo, da quando cioè ne è stato di molto ridimensionato il ruolo centrale nel sistema delle arti.
Alcune delle riflessioni di Savinio – invero assai diverse, dai ricordi familiari alle divagazioni sulla noia – argomentano una legittimità della pittura, creduta da molti anacronistica ma invece semplicemente acronica, si direbbe, senza tempo.
La scelta di Savinio, come quella di tanti altri pittori contemporanei, è anche una scelta reazionaria, nel senso che critica e rifiuta una certa contemporaneità, in cui «il gran parlare [della cosiddetta creatività] dimostra il vuoto moderno di vera creazione non orientata da mercato e luoghi comuni», e in cui l'avanguardia è diventata solo «un'immobile riesecuzione di atti passati».
In realtà, vista in prospettiva, è soprattutto la scelta di chi si rifiuta di considerare la pittura come un mero mezzo tecnico alla pari di tanti altri, ma ne rivendica la più profonda e filosofica natura, connessa con l'uomo e con la sua storia molto più intimamente di altri medium. La scelta di chi sacrifica anche il proprio bisogno di esprimersi per farsi egli stesso, in un certo senso, strumento della pittura.
Rafforza questa posizione il raffinato e sapido saggio di Clio Pizzingrilli, anch'egli pittore, che per rintracciare l'identità della pittura parte dal concetto di chora, inteso come spazio antecedente l'apparizione delle figure, e ad essa necessario.
A chi è consigliato: ovviamente agli appassionati di Ruggero Savinio, ma soprattutto ai pittori. A quelli bravi però, quelli che rimuginano in continuazione sulla pittura, ma poi a qualche cena finiscono sempre in difficoltà sotto le incalzanti e perfide domande di avanguardisti dell'ultim'ora.
A chi è sconsigliato: agli avanguardisti dell'ultim'ora, quelli duri e puri, quelli per cui l'opera d'arte definitiva è invisibile, intangibile, immercificabile, meglio ancora se pre-concettuale, ovvero non ancora pensata.