Recensioni / Un uomo e la sua linea retta

Renato Solmi: pacifista, consulente editoriale, traduttore, insegnante, amico
Renato Solmi, è morto a Torino il 25 marzo scoro, a quasi 88 anni, dopo molti mesi di sofferenza fisica e quasi di afasia. L'ho conosciuto e frequentato a lungo, negli anni settanta come amico e prezioso consulente, esterno e gratuito, quando lavoravo da Einaudi, insieme col comune amico Luca Baranelli; poi, negli anni ottanta, come insegnante e militante politico; infine come militante pacifista, collaboratore del Centro Sereno Regis. Non vorrei però limitarmi ai ricordi personali, ai consigli, alle proposte, alle lunghe, talora esasperanti, discussioni, alle ormai lontane camminate in montagna – Solmi camminava con gioia, di ottimo passo, da vero valdostano. Vorrei provare a ricordare, a nominare almeno, il Renato Solmi intero, quello che non ho veramente conosciuto, il "giovane filosofo" ("l'esofago gonfio di pneuma la ragione vergine") che Franco Fortini incitava a sumere superbiam, il collaboratore di "Discussioni" e "Nuovi Argomenti", il curatore e traduttore di Minima Moralia di Adorno e di Angelus Novus di Benjamin, il collaboratore di Raniero Panzieri e Luca Baranelli. Non posso farlo che ricorrendo alla sua Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004 (Quodlibet, 2007) che si trova facilmente in biblioteca e consigliando la lettura degli interventi degli anni cinquanta. Per me la pubblicazione in volume di "Discussioni", che non avevo mai letto, fu una vera scossa, che si può riprovare intera nell'Autobiografia. Non mi stupirono tanto gli interventi di altri collaboratori, noti e cresciuti in autorevolezza nel tempo, ma soprattutto quelli di Solmi, per la sicurezza, l'aggressività quasi. Il periodare complesso, armonico, è lo stesso degli ultimi decenni; identica è l'attenzione ai dettagli. Ma gli interventi più recenti, inclusi i cenni autobiografici e la prefazione, sono come schiacciati dal bisogno di scusarsi della propria inadeguatezza, dal dubbio, dal senso di colpa e (per usare una parola che non mi sembra eccessiva) dal dolore. È una sofferenza pervasiva, interiore, che ha a che fare col suo rapporto col mondo, con le idee, con suo padre, con i suoi doveri di uomo di cultura; un dolore così forte da renderlo cieco ad altre sofferenze vicinissime a lui, che pure sembrerebbero far parte della sfera dei doveri ma che sono interamente rimosse dagli scritti, come lo erano dalle conversazioni. Gli scritti degli anni cinquanta, soprattutto i primi, quelli anteriori alla "crisi della presenza" del 1956-59, di cui scrive con pudore ma senza reticenze, sono pieni di gioia, di vitalità, sicuri e rapidi come il suo passo in montagna, una volta. E perché un giovane dovrebbe interessarsi oggi delle tesi e delle prefazioni dí Renato Solmi di sessant'anni fa? Perché la scuola di Francoforte, il conflitto tra Il mondo magico e i distinti di Croce in de Martino (i temi di Solmi) hanno a che fare con il movimento del '68, con l'antipsichiatria, con percorsi importanti, prima di adesione e poi critici, delle tesi di de Martino, come quello di Giovanni Jervis, che fu stretto collaboratore di Basaglia. E si intreccia alla vita e agli scritti di Solmi il percorso di Michele Ranchetti, che consigliò a Boringhieri la traduzione dell'opera omnia di Freud e ne iniziò la cura. (Si può leggere in rete, ripubblicato da "Poliscritture", Michele Ranchetti sul giovane Renato Solini). Oggi il vento ha girato, il neoliberismo domina tutto, anche la psicologia (un buon equilibrio psichico oggi si chiama capitale umano), le pillole stanno sostituendo la psicoanalisi ed ogni altra psicoterapia, ogni giorno qualcuno scrive di aver scoperto il gene di nuovi singoli comportamenti, ma, proprio per non essere preda di ogni spirar di vento, sapere com'è andata culturalmente non guasta. Ma non vorrei dimenticare proprio il Solmi degli ultimi decenni, quello che ho conosciuto, il consulente editoriale (quello interno, di cui ho solo sentito i resoconti, e quello volontario), l'insegnante di liceo, il militante sindacale e politico, attento alla laicità della scuola e dello stato, giustamente preoccupato della minaccia nucleare. Anche di quegli anni e della collaborazione con Panzieri e Baranelli si trovano i documenti nell'Autobiografia, ma si tratta soprattutto di ricordi (Gli anni di Panzieri comparve nel 1985 su "Linea d'ombra", I miei anni all'Einaudi fu pubblicato dall'Indice" nel 1999; gli scritti in presa diretta sono soprattutto interventi sul "Notiziario Einaudi", e hanno, malgrado la serietà dell'autore e dell'editore, carattere aziendale). E Solmi, come interprete autentico di se stesso, è molto autopunitivo. I fatti ci sono tutti, ma preceduti da pagine di scuse e autoaccuse. Persino il licenziamento suo (e di Panzieri) da Einaudi, troppo noto e remoto per insisterci oggi, che viene raccontato in dettaglio, alla fine, in ipotesi, viene attribuito a una propria inadeguatezza. Condivido, per quel che ne so, la valutazione di Solmi dell'importanza preminente del lavoro culturale ed editoriale di Panzieri, che era un politico di mestiere, e si rendeva ben conto della posta in palio: denunciare (come faceva il libro di Fofi di cui si discuteva) le responsabilità della Fiat nella condizione dei lavoratori immigrati a Torino, o tacere. Ma che la direzione dell'azienda avesse aspettato quello scontro per accorgersi dello scarso rendimento e inaffidabilità di Renato Solmi e, conseguentemente licenziarlo era un'ipotesi che poteva venire in mente solo a lui. Non stupisce invece che il suo puntiglio giuridico, il suo rigore, convinto della natura paritaria del gruppo di liberi intelletti della redazione, in grado di decidere autonomamente, secondo scienza e coscienza, e di mettere in minoranza il padrone e la direzione, lo avesse fatto schierare, tra i primi, con Panzieri. Poi, come si sa, la prova provata della natura dei poteri del consiglio, non ci fu perché la maggioranza si schierò col padrone; e certo se Bobbio, Cantimori e tutti, si fossero schierati con Panzieri, magari Einaudi ci avrebbe ripensato. Ma se Bobbio, Cantimori e tutti si fossero schierati con Panzieri, sarebbe stata tutta un'altra storia, a Torino, non solo all'Einaudi. Certo il rigore, la competenza culturale, l'impegno, di Solmi redattore risultano dalla testimonianza di tutti i sui colleghi, non solo di Baranelli. Dell'importanza di Solmi negli anni sessanta come consulente esterno testimoniano, tra gli scritti raccolti, quello su La nuova sinistra americana ("Quaderni piacentini", 1965) e su Il dibattito americano sul Vietnam (ancora "Quaderni piacentini", 1966) e gli interventi su Seymour Melman e Paul Baran (si coglie subito il rapporto con alcuni titoli della "Serie politica" Einaudi). Sono le tesi di Solmi (e di altri) che hanno avuto più eco politica e culturale. Se fossero giuste, o in che misura fossero giuste, è un problema che riguarda più di una generazione. Come riguarda più di una generazione il suo atteggiamento nei confronti del movimento studentesco italiano e l'impegno contro il nucleare e per la pace. Negli anni settanta Solmi fu attivo come insegnante preparato e impegnato, certo non lassista, ma attento agli studenti e alla difesa contro la repressione. Fu tra i pochi a sostenere la necessità di proporre ed elaborare un contenuto serio all'insegnamento alternativo all'ora di religione (Un impegno per la sinistra: l'ora alternativa all'insegnamento della religione, "Ex machina", 1987). Penso che l'afasia, la incapacità di formulare ed esprimere progetti e tesi, quando ci si oppone ma anche quando si governa, sia una delle tragedie della sinistra italiana. Qualche volta non si riesce a distinguere l'opposizione dall'ignavia, il rifiuto dal menefreghismo. Renato Solmi non ha mai corso questo rischio. Se mai proponeva cose impossibili, o per vie impercorribili, ma si faceva capire. Chi pensava che non fosse necessario un programma alternativo all'ora di religione spesso pensava che semplicemente l'ora andasse abolita e che la macchinosa costruzione di un'alternativa non solo fosse fatica sprecata, ma fosse dannosa perché dava per scontata l'esistenza dell'ora da sostituire, e in più non sosteneva adeguatamente la necessità di trattare le religioni e la loro storia nelle ore opportune: storia, educazione civica. Il risultato è stata l'afasia e quindi l'impossibilità di distinguere un modo alternativo di trattare di religioni dal puro e semplice vuoto. I rapporti con Solmi e con le sue giuste ma impossibili proposte, immutabili anche nei minuti dettagli, erano, naturalmente, anche conflittuali. Qualche anno fa mi capitò di leggere nel secondo bozzetto delle Encantadas di Melville una descrizione del comportamento delle tartarughe delle Galapagos (le encantadas, appunto) che sembrava il ritratto di Solmi. Copiai le righe e gliele mandai. Si divertì molto, per la somiglianza e per il livello dell'autore. Ecco il testo: "Le ho viste, nel loro cammino, cozzare eroicamente contro rocce, e restare a lungo impuntate a spingere, strisciare, impennarsi per smuovere la roccia, tanto da non dover deflettere dalla loro immutabile direzione. La loro maledizione suprema è questa loro estenuante volontà di seguire sempre la linea retta, in un mondo così gremito di ostacoli".