Recensioni / Consigli inutili

Pubblicati postumi, ma seguendo il preciso progetto dell'autore, i Consigli inutili di Lugi Malerba costituiscono un libretto davvero gustoso e assai interessante. Apparentemente sarebbero classificabili nell'ambito di un Malerba minore rispetto ai romanzi e ai racconti; tuttavia al giorno d'oggi – di narrativa degradata e di "narratività" profluviante e rassicurante – il fatto che qui l'aspetto narrativo appaia concentrato non è poi un gran male, a mio parere. Pezzi troppo brevi perché lo spunto si dilati in una "storia", personaggi troppo improbabili per suscitare l'immedesimazione, questi brani sembrerebbero ereditare lo spirito delle antiche facezie, vivificato dal passaggio moderno dell'angelo del bizzarro". Si potrebbe sostenere che inaugurano un loro proprio genere, apertamente tendenzioso, come dimostra il brano introduttivo improntato all'elogio dell'infunzionale (questi scritti «sono un primo timido tentativo di sfuggire ai condizionamenti della necessità»), e di per sé contraddittorio, in quanto l'atteggiamento del "consiglio" dovrebbe essere improntato alla trasmissione di qualcosa di utile. Nei testi brevi malerbiani, invece, l'utilitarismo finisce invariabilmente a gambe all'aria sotto l'azione di un umorismo implacabile. Rimane tuttavia l'impostazione e l'andamento della forma trattato: che tale forma decisamente seriosa venga applicata a argomenti futili o a particolari inessenziali o sviluppata con svolte contrarie alla logica, fa sì che il libro costeggi costantemente il lato della parodia. Tanto per dire: argomenti futili, tra gli altri, sono: come produrre le ombre, i generi del fango, l'arte della dimenticanza, la semiologia dello sbadiglio, la descrizione della polvere; particolari inessenziali sono: quanto era grande la mela di Guglielmo Tell e quale baco c'era dentro; una svolta contraria alla logica è quella che conclude la puntigliosa ricerca dedicata a non schiacciare le formiche che, dopo minuziosi calcoli sull'estensione e il tipo della suola di scarpa, è risolta suggerendo lo spruzzo di «un insetticida spray molto potente», così non ci sarà più alcuna formica da rischiar di schiacciare. Semplici scherzi e battute (c'è anche un brano sulla "battuta polivalente")? In realtà ho sempre pensato che il ricorso di Malerba al paradosso non sia mai così innocente come sembra. Non per niente l'introduzione dell'autore rivela un intento polemico e chiama in causa la tanto bistrattata nozione di ideologia. Poi, nel corso del libro, approfitta delle trovate per tirare i suoi strali contro i «cosiddetti Mezzi di Comunicazione di Merda» oppure contro il sistema fiscale, esortando alla "disobbedienza civile" mediante un buffo sistema non di omissione bensì di moltiplicazione delle denunce dei redditi: «Ognuno di noi farà dieci denunce riempiendo dieci moduli tutti diversi l'uno dall'altro, ma fra i quali ci sarà anche quello giusto. La firma autentica sarà soltanto una, sotto la denuncia giusta. Le altre saranno imitate in modo che anche di fronte a una contestazione risultino false. L'iniziativa naturalmente dovrebbe essere diffusa fra i contribuenti scontenti, che sono legione. In questo modo le denunce diventeranno cento, mille, diecimila. Quanto basta per bloccare gli uffici addetti allo spoglio delle denunce». Uno stratagemma che fa il paio con quello del Signor X di Testa d'argento per screditare le banche. Personalmente, durante la lettura dei Consigli, ho notato che, così senza parere, parecchie suggestioni cadevano sul lato della teoria letteraria; così certamente i brani sulla riscrittura («non c'è dubbio che si tratta di una operazione inutile e parassitaria e perciò letterariamente degna di lode») o sulle citazioni, nonché tutta l'ultima parte delle Biografie immaginarie, intrisa di spirito borgesiano (e Borges è esplicitamente citato a p. 70). Ma al mio orecchio suonano come controcanto agli usi e abusi della attuale letteratura anche il brano sul ricordo d'infanzia con il suo sapore "guastato" o quello sulla memoria: quando Malerba scrive «Nessuno di questi libri fa cenno all'uso della memoria in senso contrario, vale a dire alla difficile arte della dimenticanza, a una inesplorata "ars oblivionis"» non è forse controcorrente rispetto al subisso di scritture autobiografiche e autobiografismi imperversanti? Ancora, il brano sui suoni degli alberi finisce per demistificare – attraverso la postura scientifico-tecnica – l'aura lirica molto dura a morire nella poesia, tanto più quando è ormai ridotta a sfogo del privato. Dai brani sulle ombre o sulla finzione emerge, a saperla vedere, una concezione della letteratura come "doppione della realtà" da praticare consapevolmente; ed emergono, per giunta, allusioni a nuovi criteri estetici con valutazione positiva della «discontinuità, imprevedibilità, asimmetria, ambiguità»; insomma, tutta l'estetica dello strano avanzata dalla modernità radicale. I brani sono molto divertenti, senza dubbio: ma il divertimento malerbiano è anche diversione, sorpresa, straniamento. L'elogio dell'inutile è anche un elogio del contrario: ci insegna che il pensiero comincia quando si esce dalla banalità e si prova a mettere a rovescio le sicurezze del senso comune.