La casa editrice Quodlibet, sotto la cura di Manuel Orazi,
propone la seconda riedizione italiana di uno dei libri più problematici
e controversi degli anni settanta: lo storico “Imparare da Las Vegas”,
prezioso volume di Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour.
Risulterebbe fine a se stessa la riedizione di un libro che ha acceso
dibattiti negli anni della sua prima edizione, nel 1972, se non avesse
la capacità di innescare nuovi canali di discussione; tale scelta
rappresenta una indicazione forte che non deve esaurirsi sul terreno
critico-letterario, ma sensibilizzare le coscienze di quanti sentono una
responsabilità nei confronti dell’architettura e del suo insegnamento.
Anzitutto questo libro non nasce per esser tale, esso è il risultato di
una esperienza scientifica, progettuale e didattica, che trova nel libro
una sorta di combinazione perfetta ed inscindibile. Da queste tre
esperienze è possibile trarre tre spunti di riflessione: il primo
riguarda la messa a punto di un’analisi specifica utilizzata come
strumento progettuale; il secondo consiste nel metodo ovvero
nell’approccio scientifico al tema di ricerca; il terzo riguarda
l’insegnamento dell’architettura come occasione di ricerca applicata.
Tre spunti preziosi per il progettista e per la disciplina:
analizziamoli con ordine.
L’analisi come strumento progettuale. Gli autori si impossessano del
luogo in esame e ne traggono materiale fresco, di prima mano,
considerazioni e osservazioni progettuali che se appaiono attuali oggi,
dovevano sembrare azzardate negli anni della sua pubblicazione. Venturi e
Scott Brown decidono di analizzare un fenomeno nel suo stesso compiersi
o comunque nell’immediato, quindi vi partecipano attivamente e con la
loro indagine decretano per primi l’originalità del fenomeno Las Vegas.
Un decennio dopo, la Strip ha già cambiato il suo aspetto, ha consumato,
ha metabolizzato quelle caratteristiche, quei dati distintivi che gli
autori avevano colto come consequenzialità estetiche e figurative di un
sistema complesso, ma comunque governato da regole proprie. Una città è
un modello di attività interconnesse tra loro che creano un determinato
modello sul suolo urbano. La Strip di Las Vegas - spiegano gli autori -
non è un caotico sprawl, ma un complesso di attività la cui struttura,
come in altre città, dipende dalla tecnologia di movimento e di
comunicazione e dal valore economico del suolo. Lo chiamano sprawl
perché costituisce un nuovo modello che non abbiamo ancora capito: per
noi progettisti, lo scopo qui è quello di raggiungere la comprensione di
un nuovo modello.
Venturi e Scott Brown conducono un’analisi rigorosa ed esemplare,
eleggono la Strip di Las Vegas come tema di studio, un modello urbano
considerato deteriore, eccessivo, caotico, privo di alcuna qualità.
Intravedono in questa autostrada urbana dell’eccesso un elemento
unitario in grado di costruire un sistema in tutti i sensi trasversale
alla città e, attraverso una coscienza storico-critica non comune,
dimostrano quanto questo modello urbano abbia delle leggi, delle regole
proprie e risponda a determinate esigenze.
Gli autori mettono in luce la corrispondenza che sempre vi è tra un
epoca storica e il modello insediativo che produce in un determinato
contesto urbano. Indagano le tipologie degli edifici che si attestano
sulla Strip, ne comprendono le gerarchie, i rapporti spaziali e
volumetrici in base agli usi e ai tempi di percorrenza. Decifrano e
trascrivono le leggi che governano la realizzazione e il posizionamento
delle monumentali insegne luminose, autentiche protagoniste del nuovo
paesaggio urbano, cui è affidato il compito di calamitare avventurieri e
viaggiatori. Ne rilevano una vera e propria architettura che tiene
conto di una complessità di fattori e che fino a quel momento nessuno
aveva valutato con la giusta attenzione: quella complessità che adesso è
sintetizzabile nella parola “comunicazione”.
Per trascrivere gli esiti di quest’analisi reinventano un metodo di
rappresentazione specifico ed appropriato. La loro volontà di
innovazione analitica, coadiuvata dalla presenza di due grafici
all’interno dell’equipe di studio, conduce alla messa a punto di una
nuova rappresentazione diagrammatica dell’analisi percettiva e
tipologica svolta sul campo. Con una grafica accattivante e
pioneristica, elaborano diagrammi comparativi, piccole e mirate sequenze
fotografiche, schemi esemplificativi, schizzi critici, analisi
tipologiche comparate tra gli edifici, racchiuse in agili diagrammi e
planimetrie in negativo, invertite per letture mirate e specifiche:
tutti strumenti analitici che divengono input progettuali, poiché
consentono di gestire la complessità di un fenomeno urbano a grande
scala.
Il metodo. Basta scorrere l’indice del libro per comprendere
l’articolazione di un ragionamento condotto dagli autori con una
pregnante capacità critica, caratterizzata da scatti sequenziali volti a
validare un concetto molto semplice, sintetizzabile nel sottotitolo
della seconda edizione “il simbolismo dimenticato della forma
architettonica”.
Alla riscoperta dei codici nascosti e ancora di più, alla legittimazione
di tali codici - tipologici e simbolici - utili per la costruzione di
parametri di lettura coerenti e appropriati, per certi versi universali
perché sempre deducibili dall’insediato. Tale operazione dimostra quanto
sia importante e complessa la lettura dei codici genetici di un luogo,
anche di un luogo “evidente” come Las Vegas. Lapidarie alcune
considerazioni di Venturi: “Noi pensiamo che l’usuale e l’esistente, non
l’eroico e il megatecnico, siano i veri strumenti dell’architettura
della nostra epoca. Possiamo ricontestualizzare sia il linguaggio
tradizionale che quello moderno grazie ad una percezione critica della
storia. Le nostre sono predizioni, non descrizioni letterali:
espressioni schizzate ma evocatrici, indeterminate ma generatrici di
dettagli, flessibili ma durevoli. Non si tratta di un’architettura
definitiva e raggiunta, ma di una matrice di flessibilità per futuri
utilizzatori.”
Straordinaria la loro capacità di inquadrare il fenomeno insediativo a
cavallo della Strip di Las Vegas in un’ottica storica e rilevarne
l’importanza in termini di spontaneo e repentino sviluppo urbano, per
darle lo stesso peso di un fenomeno storicizzato. I continui rimandi
presenti nel testo tra alcuni sistemi della Strip e le più riconosciute
strutture urbane classiche, sono il frutto di una disinvolta coscienza
storica, tanto libera da pregiudizi da rilevare i nessi tra pubblico,
vocazioni economiche e territoriali di un contesto rumoroso e dissonante
come quello di Las Vegas.
La loro lettura in chiave simbolica costituisce a tutti gli effetti una
teoria sull’architettura, che non solo trae spunto da un’analisi
concreta sulla Strip e sintonizza con le esperienze artistiche di quegli
anni, ma è anche misurata su un’opera di architettura costruita dagli
autori, che diviene il pretesto per una rigorosa lettura critica: la
Guild House a Filadelfia, una casa per anziani progettata pochi anni
prima della pubblicazione del libro. Questa opera, che costituisce un
risultato al limite del postmodern, discutibile nei principi e nei
valori di cui si fa carico, testimonia la circolarità, la coerenza
dell’operazione teorica che Venturi e Scott Brown tentano con questo
volume.
E al confronto con la scena attuale, in cui non esiste alcun legame,
alcuna consequenzialità tra struttura analitica, ricerca progettuale e
attività didattica, questo volume, tra gli altri pregi specifici, ha
principalmente quello di dimostrare quanto sia importante costruire una
ricerca che in tutte le sue sfaccettature sia espressione di un nucleo
teorico solido. Questo è il messaggio più significativo che si può
trarre oggi da questo volume.
L’insegnamento dell’architettura come occasione di ricerca applicata. Va
sottolineato, infine, che questo volume nasce da una esperienza di
ricerca universitaria compiuta nel 1968 presso la School of Art and
Architecture della Yale University. Esso è quindi il frutto di un corso
di studi che ha visto la partecipazione attiva di docenti e studenti su
un tema comune di ricerca. E fin dalle prime pagine gli autori ne
chiariscono questo rilevante aspetto e aggiungono: “alcuni dei punti
importanti per il corso sono stai tralasciati in questo libro: ad
esempio il nostro interesse pedagogico nel trasformare un tradizionale
«corso» di architettura in un nuovo modo di insegnare tale materia, come
pure il nostro particolare interesse nell’elaborare strumenti grafici
più adatti di quelli attualmente usati da architetti e urbanisti, per
descrivere quel modello di sviluppo urbano, ovvero lo sprawl, e, nello
specifico, la strip commerciale.”
A chiusura della prima parte analitica, ovvero nel cuore del volume, si
trova un piccolo capitolo intitolato “Note per il corso di progettazione
architettonica”, che riporta i nomi degli studenti e che fin
nell’intestazione del corso anticipa “Un significato per i Parcheggi
A&P ovvero…imparare da Las Vegas: un problema di ricerca per un
corso di progettazione”.
Il libro è dunque l’evoluzione di una ricerca universitaria e pure nella
sua costruzione fisica, la didattica è una centralità. Il capitolo si
configura come raccolta di note, di considerazioni, appunti di viaggio,
calzanti citazioni di esperti, storici e studiosi che costruiscono un
humus comune, un ambito di idee e sentori condivisi. Gli studenti
diventano parte attiva e riconosciuta di una indagine percettiva e
progettuale, ed alcuni estratti delle loro riflessioni sono riportate
all’interno del medesimo capitolo. Si costituiscono piccoli gruppi di
lavoro tra studenti ed esperti, si svolgono inchieste, interviste e ad
ogni studente è affidata l’indagine e l’analisi delle tipologie di
studio presenti sulla Strip: le stazioni di servizio, i Motel, i
parcheggi, la regolazione delle insegne, gli accesi agli hotel e tanto
altro. Tutto il materiale che viene raccolto costituisce quel patrimonio
comune, fresco e inedito che ogni corso che si rispetti dovrebbe
produrre e questo libro ne custodisce un esempio prezioso.
Abbiamo volutamente tralasciato tutti quegli aspetti che attengono alla
inebriante scoperta di un nuovo paesaggio pop, attraverso il linguaggio
ridondante delle giganti insegne luminose e tutte le intuizioni proposte
dagli autori per legittimarne l’interesse, che costituiscono la parte
più diretta del libro. L’architettura di Venturi e Scott Brown, fatte le
dovute eccezioni, soprattutto dopo la pubblicazione di Imparare da Las
Vegas, ha virato nella direzione del postmodern, malgrado il loro sforzo
di tenere alti i valori espressi in questo libro, che assieme al
precedente Complessità e contraddizioni in architettura ha influenzato
generazioni di architetti.
Auguriamo a questa riedizione italiana di Imparare da Las Vegas nuova
fortuna critica e nuovi riscontri sul terreno della ricerca, con
l’invito a non trattare questo libro come un classico dell’architettura,
come spesso oggi si dice. Significherebbe normalizzarlo. La sua forza
d’urto, se compresa oggi, può esser di grande ispirazione per la ricerca
di domani.