II padiglione disegnato da Le Corbusier nel 1925 per l'Expo
Internationale des Arte Décoratifs et Industriels di Parigi era così
moderno che gli organizzatori preferirono costruirci davanti una bella
palizzata, alta sette metri e dipinta di verde. In questo modo il
pubblico sarebbe stato protetto dalle forme eccessivamente squadrate e
dalla completa mancanza di decorazione, che invece si poteva riscontrare in buona parte dell'esposizione, tra l'Esplanade
des Invalides e le rive della Senna. Solo grazie all'intervento del
Ministro dell'Istruzione la quarantena ebbe fine, e tutti poterono ammirare il modello di abitazione moderna che l'architetto svizzero aveva in mente.
Per chiarirne i presupposti teorici, Le Corbusier fece uscire un
libro-manifesto contenente gli scritti pubblicati l'anno prima su
«L'Esprit Nouveau» la rivista da lui fondata nel 1920 -, che oggi
Quodlibet ripubblica a quarantadueanni dalla prima edizione italiana. Il
tema portante è, quasi contraddicendo il titolo (L'Art Décoratif d'Aujourd'hui),
la negazione dell'arte decorativa, considerata «elemento inconciliabile
con il sistema dello spirito contemporaneo», di cui proprio l'Expo
parigino era dimostrazione. «Assistiamo al declino dell'arte decorativa
scrive Corbu e notiamochela corsa isterica di questi ultimi anni verso
l'orgia decorativa non è che l'ultimo spasimo di una morte già
prevedibile». In molti punti sembra di leggere Ornamento e delitto, il noto saggio scritto da Adolf Loos ben diciassette anni prima.
Per i tanti che hanno letto Vers une architecture (1923) anch'esso composto di articoli tratti da «L'Esprit Nouveau» questo libro non sarà una sorpresa ma piuttosto una conferma delle abilità narrative e delle intuizioni teoriche del Maestro. Tuttavia il taglio dei saggi, che privilegia la scala dell'oggetto a quella dell'architettura, lo distingue profondamente, facendone un volume essenziale per capire meglio un momento cruciale della storia del design. Mentre a Parigi l'Expo segna il trionfo (e il tramonto) dell'Art Deco, in Germania Gropius stava costruendo l'edificio del Bauhaus, scuola e fucina che rivoluzionerà l'approccio al disegno del prodotto. Poco dopo, in seguito alla crisi del 1929, negli Stati Uniti si definirà la figura professionale dell'industriai designer, come colui capace di dare una forma all'oggetto tecnico: dal trattore alla batteria dell'automobile, dall'aspirapolvere alla radio. Le riflessioni di Le Corbusier, che si era formato nel mondo delle arti applicate disegnando orologi, si collocano dunque in un periodo di transizione, innanzitutto semantica: quello di cui parla non è più arte decorativa e non ancora "design" come lo intendiamo oggi.
Partendo dalla cultura dell'oggetto, la discussione si allarga a tanti altri temi. Ad esempio, come sottolinea Domitilla Dardi nell'introduzione al volume, opponendosi alla decorazione storicistica Corbu è uno dei primi «a demolire il mito del costo e a subordinare il valore delle cose all'intelligenza del progetto e non allo status di cui l'oggetto è simbolo». Interessanti sono anche i testi sul folklore e sul museo. In quest'ultimo si ragiona sui criteri di selezione degli oggetti esposti: «il museo è sbagliato perché non fa conoscere tutto. Inganna, dissimula, crea illusioni. È un bugiardo».
Da scorrere con attenzione è poi l'apparato iconografico (oltre zoo
immagini), che costituisce un livello narrativo inscindibile dal testo e
allo stesso tempo autonomo, fatto di ritagli di giornali, cartoline e immagini non patinate frutto di un saccheggio
trasversale di riviste di architettura, manuali di biologia, libri
d'arte, cataloghi di moda, bollettini tecnici.
Era un approccio grafico e concettuale totalmente innovativo, che farà
scuola nei decenni a venire (chiedetelo a Rem Koolhaas). C'è Luigi XIV e
la Regina d'Inghilterra, un modernissimo bidet e un tessuto polinesiano, scimmie suonatrici e il caveau di una
banca, schedari da ufficio e una voliera per uccelli, un capitello
romanico e il disegno anatomico
di un apparato digerente, uno stormo di aerei da guerra e l'Atena di
Fidia. Tante istantanee differenti che mostrano le connessioni e le
contraddizioni estetiche presenti nell'universo di oggetti che ci abbraccia tutti i giorni. Quando uscì, il libro fu
snobbato come il padiglione dalla vecchia guardia, ma ebbe anche buone
recensioni, a cominciare da quella di Paul Valéry che in privato
scrisse: «Signore, ho una sola parola da dire sul Suo libro ed è una
parola che uso molto raramente: ammirevole. D'altronde, provo imbarazzo a
scriverla. Nella maggior parte delle cose che Lei tratta sono d'accordo
con Lei. Mi è fin troppo facile, quindi, approvare i miei stessi
sentimenti».