Recensioni / Che cosa salvare tra i troppi libri che dovremmo leggere ma ci perdiamo

Almeno di una cosa non si può dubitare: il torinese Salone del libro occasioni di riflettere immancabilmente le offre. I tanti o troppi libri ci ricordano la nostra libertà, necessità o smania di scrivere. I pochi libri che ognuno sceglie, perché davvero li leggerà, ci ricordano il desiderio di ciò che personalmente ci riguarda, può migliorare le nostre connessioni celebrali e dilatare la coscienza di ciò che succede. In veste di critico (veste che non dà gloria) sono coinvolto in una iniziativa del Salone che richiede una certa attitudine a dire pochi "sì" e molti "no". Visto che la critica letteraria non gode più di buon nome (anche il più imbecille degli scrittori è convinto che il critico sia invidioso di lui) ricordo qui, in estrema sintesi, che criticare vuol dire distinguere, selezionare, saggiare e assaggiare il sapore che hanno i libri. La domanda dunque è questa: quali sono i quattro o cinque libri che negli ultimi anni non hanno ricevuto l'attenzione che meritavano? […]

Uno studio sui rapporti fra "Karl Kraus e Shakespeare" (Quodlibet) lo ha pubblicato nel 2012 una giovane germanista, Irene Fantappiè, che con Kraus sembra essere nata, perché non aveva ancora venticinque anni quando cominciò a tradurlo e commentarlo. Kraus non sapeva l'inglese, ma usò Shakespeare montando e manipolando per i suoi scopi di satirico e pamphlettista teatrale diverse traduzioni esistenti. Scrittore sommo di aforismi, regista di se stesso, attore in scena capace di ipnotizzare il pubblico (come notò Canetti allarmato) Kraus è studiato qui neì suoi legami con Shakespeare e questo lo mostra al lavoro nella sua officina letteraria: un creatore di novità per via di citazioni, traduzioni, riusi e bricolage. Oggi che tutti immaginano di creare, Kraus fomenta un dubbio: e se l'artista creatore fosse un banale illuso?