Tra Cacciari - catalogo mostra a Milano ìn Castello Sforzesco nel 1992, e
a Premessa del felice poemetto «La Galleria d'arte moderna» del 2003 - e
Agamben - in
questa bella e importante mostra fino a Maggio ad Ascoli
Piceno, per la cura di Clio Pizzingrilli, nel catalogo Quodlibet -,
Ruggero Savinio ha dialogato con Gianni Carchia di
Torino del 1947,
come l'artista del 1934, scomparso a Vetralla nel 2000, con un «saggio
sull'estetica della pittura» per «Arte e bellezza» dal Mulino nel 1995,
dove è presente un «riferimento bibliografico» ai «Percorsi della
figura» che Savinio edita dalla romana Cometa nel 1992 -: così che la sua pittura quale «pensiero
poetante» si traduce nel corpo vivo della lotta tra l'Angelo e Giacobbe
Genesi
32, 23/33 -, quando la sazietà dell'amplesso costituisce l'identità anche storica della «figura» e tra «pensiero e
immagine» riposa il sapore di una infinita lezione impartita nei sapori
dell'emozione.
È la poesia il ristoro del viandante che ripete la strabiliante «Via
Lattea» che soltanto Bunuel poteva raccontarci e che la pittura di
Ruggero Savinio ci invita a praticare «Hoelderlin in viaggio» -. Nel
contesto scenografico di una universalistica «teologia dell'historismus»
dettata, ad esempio, da un Ranke (ma Savinio partecipa di Parigi,
Milano e Roma, più che di Berlino o della ancestrale Monaco in Baviera)
-, la sua pittura svolge davvero una «Fabula mistica» secondo Michel De
Certeau presentato
in Italia da Carlo Ossola nel 1987 con il benemerito
Il Mulino perviene
alla unicità dell'icona là dove il sentimento di religiosità invita alla unità del racconto.
Dalla affabulazione dei Grimm tra
il 1999 e 2011 riproposti da Adelphi
in traduzione di Landolfi Ruggero Savinio risolve il puntuto luminismo
della notte nella spalmata luminosità diurna di un evocato sintetismo
che recupera l'esperienza dell'intelligenza pittorica di Bernard e
Serusier a Pont Aven. Tra Warburg e von Marées, Ruggero Savinio riflette
sulla lettera a Fiedler tradotta
da Monica Ferrando (tra gli «Amici
Pittori» convocati da Savinio presso Ceribelli a Bergamo, nel 2009) -:
«I pittori moderni cominciano dalla fine, dall'immagine e così facendo
perdono l'essenziale».
Il corpo della figura è il tempo dell'immagine, il mistero dell'esserci.
Come il significato dell'essere reclama la chiamata alla salvezza
Savinio
partecipa del nuovo Lezionario, con un acrilico su tela
dedicato a «Pietro che guarisce uno storpio» («Gli artisti e la Bibbia»,
Skira ed., 2011, pag. 232, tav. 187) così
la pittura proclama il
proprio codice: «dopo aver spesso pensato a San Francesco, e al
francescanesimo» Ruggero Savinio rileggendo, come un «monaco domestico»,
a Cetona i «Fioretti» qui scrive nel volume Quodlibet «Posso
chiamare
umiltà la non volontà di esprimersi, cioè non voler dire qualcosa dí
proprio, ma articolare ogni volta il linguaggio della pittura. E
obbedienza sarebbe l'accettazione serena di un comando (...) della
pittura stessa: sii pittore, cioè accetta di tenerti umilmente dentro i
miei confini (dove) si trovano le figure della pittura».