Prolifico, geniale, dal carattere spigoloso, capace di fondare un importante movimento artistico, totalmente (o quasi) indipendente da quella ricerca architettonica che gli darà poi una fama incommensurabile, ponendolo tra i grandi maestri del secolo scorso con capolavori e visioni che contribuiranno a cambiare l’architettura dell’era moderna.
E proprio la Dardi nella sostanziale introduzione chiarisce come in questo saggio si comprenda la necessità che la traccia autobiografica di un’eredità del passato e di una formazione debbano essere sacrificate in nome della nascita dello ‘spirito nuovo’ perché “il assato non è un’identità infallibile… Ha in sé cose belle e cose brutte”. Un approccio che deve essere applicato anche all’arte decorativa (che non è soltanto arredamento) come un nuovo criterio modernista della produzione in serie. Si tratterebbe dunque, secondo la curatrice, di uno dei primi libri in assoluto dedicati al design, nell’accezione contemporanea del termine: “L’arte decorativa è anche e soprattutto uno snello trattato estetico sugli oggetti che ci circondano quotidianamente e ci aiutano a vivere, distinguendo fra quelli futilmente decorativi e gli utensili o attrezzature, vale a dire utili a soddisfare i nostri bisogni in maniera corretta”.Le Corbusier, come aveva fatto due anni prima con Vers une architecture (1923), sceglie anche qui di forzare le convenzioni tipografiche del tempo: in linea con le avanguardie surrealiste, giustappone immagini di arredi e manufatti di ogni epoca, anticipando così di decenni le atmosfere pop o postmoderne. Inoltre, scrivendo questo libro in parallelo al coevo Urbanisme (1925), gioca con le diverse scale del progetto come per indicare una strada che è un programma di modernità e in questo senso passa dalla dimensione minuta dell’oggetto e dell’arredo a quella molto più grande del disegno urbano e della visione urbanistica senza soluzione di continuità.
Così come farà nel padiglione dell’Esprit Nouveau presentato all’Expo Internazionale di Parigi del 1925, dove i suoi arredi e il Plan Voisin per la capitale francese dialogavano nel medesimo spazio: una Maison Citrohan (o un elemento dell’Immeuble-villa) ante litteram con un grande diorama avvolgente alla maniera delle esposizioni ottocentesche. Ma lui è interessato alla scala umana (come lo saranno il Team Ten e gli Smithson) e in questo senso – è anche la tesi della Dardi – lo si può vedere come anticipatore di quei gruppi radicali degli anni Sessanta che da lui assimileranno l’idea di mobili ed edifici per unificare arredamento e urbanistica in una superarchitettura che andasse ‘dal cucchiaio alla città’.
Tuttavia – come racconta la curatrice – c’è un convitato di pietra in tutto il libro, citato solo en passant: Adolf Loos. Anche il grande maestro viennese, al ritorno da un viaggio giovanile negli Stai Uniti e poi dall’Inghilterra, espresse grande interesse per i prodotti anonimi dell’industria moderna e ne scrisse indicando delle strade per il disegno dell'oggetto e dell'arredo. Posizioni distanti, risultati differenti, teoria al servizio del progetto, della modernità.