Recensioni / Filosofie del paesaggio e dell'ambiente

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Il giardino come mito edenico
Gilles Clément insegna presso l'École Nationale Supérieure de Paysage a Versailles e ha influenzato, con le sue teorie e le sue realizzazioni di giardini, un'intera generazione di paesaggisti europei. Il suo saggio su Giardini, paesaggio e genio naturale (Quodlibet, Macerata, 2013) mostra chiaramente la natura politica, di utopia politica, della sua concezione del giardino, che diventa metafora di una società alternativa a quella del capitalismo liberale. Clément distingue, un po' come D'Angelo, fra paesaggio, ambiente e giardino: il paesaggio è ciò che il nostro sguardo riesce a cogliere, ed è sempre essenzialmente soggettivo perché ognuno di noi lo vive e lo interpreta secondo il suo vissuto personale, mentre nella definizione di ambiente è fondamentale la lettura oggettiva, scientifica della realtà che ci circonda. Il giardino si può riferire tanto all'ambiente per quel che riguarda i dati tecnici, quanto al paesaggio per l'elemento di creatività che lo caratterizza. Ma «il giardino, ovunque nel mondo, significa al contempo il recinto e il paradiso», un luogo protetto che ospita le cose più preziose, «il solo e unico territorio d'incontro fra l'uomo e la natura ove il sogno sia autorizzato». Il giardino, insomma, si contrappone alle società storicamente costituite, è la fuga verso una realtà alternativa che presuppone una diversa organizzazione sociale: «Fuori dal giardino si chiede alla società umana di sospendere un sogno per difendere una posizione sociale, o semplicemente per esistere. Dentro il giardino il logoramento esistenziale svanisce, e non è più necessario sapere dove dirigersi e secondo quale ordine di buona creanza orientare i propri gesti o il proprio sguardo, non occorre sapersi adattare a una pretesa modernità; inutile cercare di stupire gli uccelli con l'esibizione di sé, nello spirito manageriale della competitività; nel giardino basta essere, e ciò richiede silenzio».

Il giardino che crea il paesaggio e contiene il sogno – Clément lo dice esplicitamente – «reca in sé un progetto di società». Ma di quale progetto si tratta? Non certamente di quello che definisce i caratteri di una società liberale, con le sue regole e le sue garanzie per gli individui, ma di un progetto che si ispira al globalismo ecologico, con l'uomo messo «in posizione di equivalenza biologica con gli altri esseri naturali». L'uomo di Clément è immerso nella natura, parte di processi biologici che lo legano all'ambiente, senza poter vantare nessuna pretesa di superiorità e di dominio: «siamo lontani dal tempo in cui l'umanità, dall'alto di un vantaggioso piedistallo, osservava l'ambiente con calcolo e condiscendenza; eccola ora nuotare nella grande vasca del pianeta, in un'acqua condivisa, bevuta, sudata, digerita, evaporata e redistribuita più e più volte nel corso del tempo, sempre la stessa sotto forme sempre nuove, ma in quantità misurabile; questo è il milieu ambiente». Gli uomini debbono prendere atto della loro finitezza ecologica e riprogrammare, senza più orgogli prometeici, il loro processo di sviluppo. Il modello economico dello sviluppo illimitato è incompatibile con la non estendibilità dello spazio vitale oltre i confini della biosfera. La nuova scienza ecologica infligge colpi mortali alle nostre credenze più consolidate e ci costringe a osservare il mondo con uno sguardo diverso e a modificare la nostra concezione della vita.

Il «giardiniere» è colui che è chiamato a costruire un nuovo progetto politico, del tutto alieno dai modelli tradizionali. Come si vede, nella riflessione dello studioso francese, l'ecologia tracima ben presto nella politica, in una politica creativa che rinuncia al dominio tecnologico sulla natura per assecondarne, invece, la spontaneità dei processi. Non la natura al servizio dei bisogni in continua espansione dell'uomo tecnologico e consumista, ma l'uomo che si mette al servizio della natura per assecondarne le leggi e rispettarne gli equilibri. Il giardino politico-economico di Clément racchiude il sogno di una condivisione e solidarietà planetaria: «Tutto è condivisione. Condivisione obbligatoria, per le evidenti ragioni legate alla finitezza. La condivisione si accompagna al riciclaggio di ogni cosa, anch'esso resosi obbligatorio in un sistema che deve essere considerato unico e chiuso». La nostra biosfera è come il giardino medievale un hortus conclusus, da custodire gelosamente.

In questa visione olistica del pianeta non può mancare la polemica contro le «potenti multinazionali», che scompongono e mercificano la natura vivente, vale a dire quel bene comune che è patrimonio dell'intera umanità: «l'intero modello economico sul quale riposano le nostre società – dice ancora Clément – si contrappone frontalmente al giardino planetario, non solo danneggiando gli equilibri dell'equa condivisione dei beni comuni, ma anche alterando le capacità biologiche del giardino stesso, minacciando così la vita sulla terra. In quel giardino, il giardiniere ha urgente bisogno di un assistente preparato e insieme sognatore: di un nuovo economista». Questo nuovo economista-sognatore non si piegherà alle leggi del mercato che «esigono un sempre più grande consumo di risorse in un universo che si immagina ultraliberale perché deregolato, piegato alla dittatura della speculazione», ma si concentrerà su «ciò che forma e valorizza il vivente senza assistenza, ispirandosi alle sue naturali capacità di autogestirsi». I due grandi principi di questa nuova economia del giardino planetario dovrebbero essere il non-indebitamento e la localizzazione degli scambi, ma, ammesso e non concesso che siano condivisibili, Clément non dice nulla circa le modalità per arrivare alla loro concreta attuazione. Tutto è affidato al genio naturale, che è «la capacità, propria delle specie animali e vegetali, di regolare naturalmente i loro rapporti al fine di potersi sviluppare al meglio nella dinamica quotidiana dell'evoluzione». C'è nel pensiero di Clément un provvidenzialismo naturalistico che appare curiosamente affine al provvidenzialismo economico degli ideologi ultraliberisti, anche se il nostro diffida dell'azione umana e confida invece nelle armonie della natura che «ha messo a punto un considerevole numero di segnali, avvertimenti, innescatori di reazioni a catena, regolatori della sovrappopolazione, aiuti e predazioni che 'giardinano' il territorio senza alcun intervento umano». Il giardiniere «non deve far altro che mettersi in ascolto, per approfittarne, non deve far altro che capire prima di agire, limitando il suo intervento. Fare il più possibile con, il meno possibile contro». La natura è il giardino dell'Eden, la scienza-tecnica moderna è il serpente tentatore che ne insidia il paradisiaco equilibrio. […]