Recensioni / La morte aspetta a Quota 121

Abituati ai tanti autori che descrivevano le inumani condizioni di vita, la perdita di dignità, il dilagare della spregiudicatezza e della ferocia, il racconto dei due mesi di trincea fatto da Giani Stuparich appare distaccato, quasi ingenuo. Somiglia a un angioletto che precipita, immacolato, tra gli escrementi, i sudori e il sangue delle buche dove si resta bloccati per giorni sotto il fitto bombardamento austriaco, e miracolosamente rimane tale: puro e incontaminato. Eppure, al contrario, ‘Guerra del ’15’ racconta proprio questo, due mesi di carneficina in trincea sulle alture del Carso nel vano tentativo di strappare al nemico una parete, una cengia. Soldati-magma, militari-marea davanti alla famigerata Quota 121, oggi si avanza di cento metri, domani si rincula di altrettanti. E martellanti, incessanti, gli shrapnel, le artiglierie che falciano, le bombe che distruggono di giorno quanto si costruisce ogni notte. Giani, 25 anni, e suo fratello Carlo, di 22, intellettuali riconosciuti, trattano con cautela l’argomento: triestini, si sono arruolati volontari nel I Reggimento Granatieri e dunque il sospetto aleggia intorno a loro, rischiano di essere scambiati per traditori su entrambi i fronti. Da molto tempo esaurito, la raffinata casa Quodlibet lo ripropone oggi, nel centenario della Grande Guerra, ricollocando Stuparich nel posto di rilievo che gli spetta nel Novecento.