Recensioni / Cosa c'è davvero dietro la retorica al quadrato dei benecomunisti

[…] Pur non essendo un concetto giuridicamente (ancora) valido, quello dei beni comuni è però già un concetto immaginifico, con profonde implicazioni anche sul piano della regolazione. È il cerchio del diritto: un sistema di catalogazione prima di tutto linguistica della realtà che, nella ritualità di un linguaggio performante, si trova viceversa a dare sostanza alle cose. Un'operazione nota al diritto classico, come spiegano Yan Thomas e Michele Spanò in un denso libretto su "Il Valore delle cose nel diritto romano" (edizioni Quodlibet), attraverso la quale le parole finiscono per creare le cose, il diritto finisce per creare il valore. Sullo sfondo, ad esempio, dell'espressione "acqua bene comune" c'è una scelta di campo, un'opzione di valore, che è il rifiuto ideologico della possibilità di dare a tale elemento una qualificazione e quantificazione economica, anche negli aspetti più pratici e gestionali. Se, come scrive Michele Spanò, "la retorica avrebbe offerto, in qualche misura, l'incunabolo di quel rapporto tra res e verba che il diritto avrebbe finalmente fissato", quella dei beni comuni è senz'altro una retorica al quadrato, che, inconsistente nel diritto positivo, ha già però dimostrato una forte capacità visionaria, retorica appunto, rispetto alla quale dovremmo iniziare a chiederci quali siano le conseguenze reali, e non solo retoriche.