Recensioni / La questione ebraica secondo Fortini

Bene hanno fatto le piccole edizioni marchigiane di Quodlibet a ripubblicare questo saggio di Franco Fortini, scritto a caldo, nel 1967, per dire la sua sulla questione dello  Stato d'Israele e dei suoi  rapporti con il mondo arabo. Del resto Fortini interviene mettendo in gioco la sua autobiografia, andando a scovare il difficile rapporto con il padre, indagando sulla questione ebraica, che è anche la chiave scelta dalla piccola casa editrice per questa riproposta.
Accanto ai Cani del Sinai, che, dieci anni dopo la sua stesura, Fortini ricorda come un libro «scritto con ira, a muscoli tesi, con rabbia estrema» che maschera la speranza e una possibile soluzione di pace, vengono riproposti altri materiali, come la Lettera agli ebrei italiani del 1989, in cui Fortini invita a fare chiarezza e a non confondere tra politica israeliana ed ebraismo. Ne I cani del Sinai condanna l'attacco israeliano ai territori palestinesi, proprio per la violenza esercitata e non per un preconcetto, anzi vede favorevolmente uno Stato israeliano che potrebbe avere una funzione fondamentale e non così destabilizzante per l'equilibrio internazionale. La funzione più importante che rileva nell'esistenza e nello sviluppo dello Stato d'Israele è quella della mediazione tra l'Occidente e il Terzo mondo.
Nella Lettera invece c'è un forte appello agli ebrei, affinché non tacciano rispetto alla politica israeliana, per paura di nuove possibili forme di antisemitismo. Ritiene un dovere la necessità di prendere parola, perché questo nuovo e diverso movimento d'opinione potrebbe rivelarsi risolutore ai fini della pace, in quanto aiuterebbe a togliere le cartucce sia dai mitra dei soldati della Tsahal, sia da quelli dei palestinesi. Scrive Fortini: «Una grande donna ebrea-crisfiana, Simone Weil, ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere. Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso della nostra vita e patria».