Kafka, Collodi e… Esce una storia inedita dello scrittore scomparso nel 2003 Una vicenda stramba e fuori dagli standard. Che turba il lettore
«Sembrava che si fosse verificata, dal silenzio che regnava e dal fatto che la mamma non era in casa, un'esplosione catastrofica che non aveva lasciato vivo nessuno. Poco più tardi cominciai a capire in modo vago che si trattava semplicemente di un dopo cena». Confesso che ho sentito la fortissima tentazione di dissolvere così l'inquietudine che La famiglia che perse tempo, il bizzarro romanzo fin qui inedito di Maurizio Salabelle, scomparso nel 2003, mi ha provocato: vi si racconta un mondo folle, letteralmente folle, ma in fondo si tratta di un apologo sulla famiglia. Cosa c'è infatti di più catastrofico della famiglia, come psicoanalisi insegna e come illustrano esempi innumerevoli dalla tragedia greca al romanzo – Svevo, Kafka, Proust, Woolf – del Novecento? Quale altro apparato umano è così costantemente impegnato a curare i mali che genera? Più la si rappresenta strana più la si coglie nella sua enigmatica, impenetrabile, inemendabile normalità.
Ma è una tentazione da cui guardarsi. La chiave è troppo a portata di mano, la porta si apre troppo presto, col rischio di trovarsi in mano solo un mazzetto appassito di ovvietà. Lasciamo invece a Salabelle privilegio e onere della sua inquietante estraneità. Prendiamolo alla lettera. Cinque persone vivono sempre insieme, pur cambiando spesso casa. Padre, madre, tre figli adulti tra cui il narratore, Phatrizio. Perché con l'H tra la P e la A? Senza ragione, o meglio perché sì, perché è così e non altrimenti. Questa è la posizione in cui Salabel- le mette fin dall'inizio il suo lettore. Ciò che questa famiglia fa (nessuno ha un vero lavoro), il compito cui attende alacremente, puntigliosamente, è ammalarsi di continuo. Ammalarsi di malattie folli, che occupano in modo esclusivo la loro attenzione e i loro discorsi, discorsi che però il narratore chiama sermoni, conferenze, comunicati stampa, tenuti con l'aiuto di mappe, piante, opuscoli, memoriali.
Le malattie hanno tutte a che fare con il tempo. Gli orologi si guastano, si riempiono di muffe, esplodono: nessuno segna mai la stessa ora degli altri. La prima malattia consiste nel fatto che il tempo del padre è più veloce di quello dei suoi familiari. Ne seguono tante altre con effetti in parte analoghi in parte diversi, tutte scrupolosamente documentate e denominate: la «perdita di periodi», la «fuoriuscita di tempo», la «fase grigia», la «malattia del periodo», il «male della dimenticanza», il «sonno nero»… Impossibile illustrarle tutte, ma credo basti l'elenco delle loro designazioni, così impassibilmente esilaranti, per suscitare nel lettore la voglia di conoscerle. La voglia e la frustrazione, perché, al pari della famiglia Grendy, non riuscirà a spiegarsele. Vengono quando vengono, passano quando passano. Quanto alle cause, pare a Phatrizio e agli altri di poterle ricondurre a una non meglio precisata contaminazione dell'aria: germi, batteri, spore (il romanzo fu scritto nella seconda metà degli anni Ottanta, con l'Europa sotto choc per la catastrofe di Chernobyl, evocata peraltro nel testo: ma neanche su questa chiave farei troppo affidamento). Alla fine gli orologi vengono buttati: «Non abbiamo più tempo da misurare».
Marco Belpoliti ha paragonato Salabelle a Kafka e Collodi. E così, purché si faccia tesoro anche delle differenze. Pinocchio affronta ogni irruzione della logica «altra» con un'immensa riserva di disponibilità e stupore. Anche nei testi più arresi e masochistici di Kafka si avverte sempre un moto indomabile di ribellione. Qui nessuno si meraviglia e nessuno si ribella, col risultato che spesso a ribellarsi è il lettore. Salabelle affascina nella misura in cui irrita. Il suo linguaggio è così disponibile, servizievole, sempre pronto a circostanziare: ma lo scrigno resta chiuso come in un film di Lynch. In un mondo siffatto si può resistere solo grazie alla speranza di uscirne, cosa che però non paiono mai volere i personaggi. La sua estraneità è gratuita nel migliore dei sensi. Che lo ospiti Quodlibet Compagnia Extra, tradizionale ricettacolo di lunatici e di strambi, è doveroso anche se corre un po' il rischio di addomesticarlo con l'abitudine, in una sorta di arcadia, di riserva protetta dello «strano». A cose simili non possiamo abituarci, e non solo perché l'attuale fortissima standardizzazione narrativa di romanzi e serie televisive – trame «aristoteliche», storie «che si capiscono» – ha reso più pigro e ottuso il nostro senso del possibile. Salabelle ha immesso nella normalità tutto l'impossibile che è riuscito a traghettare. Che turbi più che piaccia è il riconoscimento giusto da tributargli.